Premierato, via libera alla norma anti ribaltone e allo scioglimento delle camere

Premierato, secondo round. Dopo il voto sull’elezione diretta del Presidente del Consiglio, è arrivato il turno del potere di scioglimento delle camere da parte del premier eletto e della cosiddetta norma anti-ribaltone. Entrambe le misure sono state approvate il 10 aprile in commissione Affari costituzionali del Senato, con il voto contrario delle opposizioni fatta eccezione per Italia Viva. L’articolo votato è il numero 4 del Ddl sul premierato elettivo, il secondo dei capisaldi della riforma Casellati-Meloni. Dovrà essere modificato in Aula per questioni lessicali, ma segna comunque un passo in avanti nella riforma costituzionale.

Scioglimento delle Camere e norma Anti-ribaltone

La riforma prevede che, in caso di dimissioni, il Premier potrà «proporre, entro sette giorni, lo scioglimento delle Camere al presidente della Repubblica, che lo dispone». Tradotto, in seguito a dimissioni motivate da un ampio spettro di situazioni, il Presidente del Consiglio potrà indire nuove elezioni. Opzione che diventa addirittura obbligatoria se è stata presentata una mozione di sfiducia motivata. In questa maniera, il testo rafforza il ruolo del premier, a cui sarà molto più difficile tendere «trappole», perché potrà appunto chiedere lo scioglimento e riportare l’Italia alle urne.

La seconda possibilità, nota come norma anti-ribaltone, prevede che in caso di mancata richiesta di ritorno alle urne o di «morte, impedimento permanente, decadenza», il presidente della Repubblica potrà conferire per una sola volta nel corso di una legislatura un nuovo incarico di governo al premier che si è dimesso oppure a un altro parlamentare «eletto in collegamento». Dunque, per poter formare un nuovo governo serve un membro eletto con la coalizione vincente e dopo di lui, in caso di una nuova crisi, si dovrà tornare obbligatoriamente alle urne.

 

Tensione nel centrodestra, Meloni contro Salvini
La premier Giorgia Meloni e il ministro delle infrastrutture e dei trasporti Matteo Salvini.

Il soprannome anti-ribaltone è uno dei punti più legati al premierato.  Deriva dal fatto che nelle scorse legislature ci sono stati esempi di parlamenti che hanno sostenuto governi radicalmente diversi tra loro. E ne sono emblema i tre governi sfociati dalle ultime elezioni. Prima, giallo-verde (Lega e M5S), poi giallo-rosso (M5s e Pd) e infine l’esecutivo Draghi sostenuto da una coalizione ancora più ampia. Con la riforma Casellati-Meloni, invece, il nuovo incarico potrà solo ricadere su un parlamentare della stessa coalizione.

Le altre norme della riforma

La trasformazione verso il premierato si basa su cinque articoli.  Quattro sono effettive modifiche al testo costituzionale, mentre la quinta disposizione è dedicata alle “norme transitorie”, che renderanno il passaggio al cambiamento graduale.

L’articolo 1 elimina la nomina dei senatori a vita. Il meccanismo è previsto dall’art. 59 della Costituzione, che conferisce al presidente della Repubblica il potere di  nominare fino a cinque «cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario».

Il secondo provvedimento, invece, esautora il capo dello Stato del potere di sciogliere una sola delle due camere. Il potere è disciplinato dall’articolo 88 della Costituzione, ma nella storia repubblicana non è mai stato esercitato.

Infine, il terzo e il quarto articolo sono il fulcro della riforma. Il numero quattro è quello che è stato votato nella giornata di ieri. Invece, il numero tre, già approvato, modifica l’articolo 92 e introduce l’elezione diretta a suffragio universale del Premier che sarà in carica per cinque anni.

I passi per l’approvazione

L’arrivo del premierato non è però scontato. Dopo l’approvazione del testo inizierà una procedura lunga e complessa. La revisione costituzionale è infatti disciplinata dall’articolo 138 della Costituzione. Camera e Senato dovranno votare il Ddl due volte, a distanza di tre mesi, e nel secondo turno l’approvazione sarà vincolata al raggiungimento della maggioranza assoluta in entrambi i rami del Parlamento.

In questo caso, potrebbe subentrare l’ipotesi referendum popolare. L’art. 138 prevede, infatti, che la legge possa essere sottoposta al vaglio degli elettori quando, entro tre mesi dalla pubblicazione, «ne facciano domanda un quinto dei membri della camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali». Se la maggioranza degli elettori non approva la legge, la riforma non viene promulgata.

L’unica maniera per evitare il referendum è l’approvazione del provvedimento in seconda votazione con una maggioranza di due terzi in entrambe le camere. Un’ipotesi che sembra quasi fantapolitica. In quanto, al di là della coalizione di governo, solamente Matteo Renzi e il suo partito Italia Viva si sono dichiarati favorevoli alla riforma costituzionale.

Una foto della Camera dei Deputati, Montecitorio, Roma.
Ettore Saladini

Laureato in Relazioni Internazionali e Sicurezza alla LUISS di Roma con un semestre in Israele alla Reichman University (Tel Aviv). Mi interesso di politica internazionale, terrorismo, politica interna e cultura. Nel mio Gotha ci sono gli Strokes, Calcutta, Martin Eden, Conrad, Moshe Dayan, Jung e Wes Anderson.

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