309 anime volate via nel boato di una notte. L’Aquila è una fenice smembrata che ancor oggi si lecca le ferite in attesa di risorgere. Sono passati 10 anni da quando il terremoto arrivò e si portò via tutto quel che poteva: vite, case, monumenti, speranze.
Le gru e i cantieri aperti sono spartiacque tra le vie del centro, agglomerati di mattoni e calcestruzzo a testimonianza di una ricostruzione di ciò che spetta a chi, in quella notte d’aprile, perse ogni cosa.
Ad un decennio di distanza le fiaccole illuminano via XX Settembre con una luce intrisa di un dolore che brucia come carne viva. I nomi e i volti di chi scomparve nella furia del sisma compaiono tra i parenti e gli amici di una vita, ognuno dedito a ricordare chi amava con quella dignità che solo un popolo chiamato a rialzarsi può conoscere.
C’erano il sindaco Biondi e il premier Conte, il segretario del PD Zingaretti e il senatore Legnini, ma soprattutto c’era la gente dell’Aquila, mai così numerosa come in questo decimo anniversario dalla tragedia.
La lunga notte del terrore
Sono le 3:32 del mattino del 6 aprile 2009. E’ un lunedì, di li a poche ore tanti aquilani dovranno alzarsi dal letto, chi per andare a lavoro, chi per recarsi a scuola. La quiete notturna viene improvvisamente spezzata dalla furia del terremoto.
Una scossa fortissima, di magnitudo 5.8, quasi sesto grado della scala Richter. Il capoluogo abruzzese è l’epicentro del sisma; l’ospedale, la casa dello studente, la prefettura e tante, troppe case crollano come castelli di carte inghiottiti dalla fuliggine. Onna è la frazione più colpita, il 70% dei suoi edifici viene distrutto.
Il bilancio col passare delle ore assume i connotati di una tragedia enorme, un ingresso nei libri di storia dal quale nessuno vorrebbe mai passare. I numeri sono simboli, non bastano a rendere l’idea di ciò che è stato, ma riportarli serve almeno in parte a percepirne la portata: 309 morti, più di 2mila tra feriti più o meno gravi, 67mila persone rimaste senza casa. I centri abitati da ricostruire sono 64, quelli vincolati dal Ministero dei Beni Culturali oltre 700.
L’alba del dolore
Il sole sorge in un clima surreale. Davanti ai Vigili del Fuoco l’immagine apocalittica delle macerie tra cui scavare. Le persone estratte e portate in salvo saranno più di 100: tra loro c’è Maria, una donna di 98 anni che già nel 1915 era sopravvissuta al terremoto della Marisca. Viene trovata viva dopo trenta ore, racconterà di averle trascorse lavorando all’uncinetto.
Marta invece, sotto le macerie rimane per 23 ore. Ha 24 anni e studia ingegneria, quando il terremoto la ricopre di calcinacci a stento riesce a realizzarlo. Appena gli uomini e le donne del soccorso alpino la tirano fuori dai resti del suo palazzo percepisce la vita che la riabbraccia, quasi può toccarla con mano.
Poi c’è Eleonora, anche lei giovane studentessa all’Accademia dell’Immagine, anche lei colta di sorpresa dall’incedere del sisma. Eleonora è nata sorda, nel delirio del crollo ha perso l’apparecchio acustico che le permette di sentire, passa 42 ore in un anfratto lacerata dal buio e dal silenzio. E’ l’ultima superstite a venire recuperata, ricorderà come un incubo quel tempo passato tra i resti dell’edificio in via Poggio Santa Maria.
Solo alcune tra le storie di chi è sopravvissuto, di chi ancora respira e può ricordare. In quei due giorni di disperate ricerche molti vennero salvati, ma tanti, troppi altri perirono sotto la distruzione di quelle case che vedevano come un rifugio sicuro.
10 anni dopo
Oggi L’Aquila è una città in cui c’è ancora tanto da lavorare prima di tornare alla normalità. Il 73% dei palazzi è stato ricostruito, una cifra che sale al 74% nel centro storico ma che scende al 55% in periferia e al 21% nelle zone limitrofe.
Il capoluogo abruzzese non desidera più mostrare le sue ferite, ha solo voglia di tornare una città in grado di guardare al domani, un luogo nel quale un giovane sia capace di vedere un futuro. Nei giovani è conservato il suono di una speranza che rompa il silenzio assordante del dolore. Un dolore bagnato dalle lacrime di un’aquila che si riscopre fenice, rinasce dalle proprie ceneri e rivolge fiera lo sguardo verso l’orizzonte.