Il Senato dà la fiducia al governo Conte. Sono stati 171 i sì, 117 i no e 25 gli astenuti. «È andata molto bene anche per quanto riguarda i numeri», ha detto il premier commentando con i cronisti fuori da Palazzo Madama. Prima della votazione, da cui si sono astenuti tre senatori a vita (Mario Monti, Giuliana Segre ed Elena Cattaneo), Giuseppe Conte ha tenuto un discorso molto lungo in cui ha confermato quasi tutti i punti del contratto di governo tra Movimento 5 Stelle e Lega (unico assente eccellente il superamento della riforma Fornero). Confermati l’appartenenza all’alleanza atlantica e il rispetto dei parametri europei, ma «in una Unione Europea più equa». Senza dimenticare però la possibilità di riallacciare buoni rapporti con la Russia.
Il #governodelcambiamento ha ottenuto la fiducia del Senato. Domani si prosegue alla Camera e poi si inizia davvero a lavorare per il Paese.
— Giuseppe Conte (@GiuseppeConteIT) June 5, 2018
Il passaggio più significativo è stata la definizione del governo che sta nascendo come «populista e anti-sistema», così spiegata: «Se populismo è attitudine ad ascoltare i bisogni della gente, allora lo rivendichiamo», ha garantito il premier tra gli applausi della maggioranza. La rivendicazione è stata sostenuta anche attraverso diverse citazioni. Conte ha enfatizzato molto la questione giustizia, tra “daspo”, l’introduzione dell’agente sotto copertura contro i corrotti, l’inasprimento delle pene per alcuni reati come la violenza sessuale, il carcere per i grandi evasori, la riforma della legittima difesa, quella della prescrizione e tanto altro.
Oltre a chiedere «con forza il superamento del regolamento di Dublino», Conte ha parlato a lungo di immigrazione, premettendo che non sarà un governo «razzista». Nel mirino del capo dell’esecutivo, il «business degli immigrati», con procedure efficaci di identificazione e di rimpatrio. «Cambia che metteremo fine al business dell’immigrazione, cresciuto a dismisura sotto il mantello di una finta solidarietà», ha sottolineato sollevando ancora gli applausi della sua maggioranza.
(FG)