Walter Tobagi è l’emblema del giornalista indipendente che con un taccuino come scudo e una penna come spada ha difeso il pluralismo dell’informazione, la libertà di stampa e la capacità di critica. Deciso nelle sue parole, era un sostenitore di un giornalismo ‘fatto con le scarpe’. Tra la gente e per la gente. E, in fondo, come dargli torto. Negli ultimi anni, i ‘cani da guardia’ e i ‘cani da riporto’, incentivati dall’imposizione delle nuove tecnologie, hanno cambiato veste e struttura.
Nel primo caso a farsi strada è il ‘giovane tastierista’ – come definito dallo stesso Tobagi – che spesso sostituisce il giornalismo di qualità con uno più scarno e sciatto, ma veloce. Nel secondo è ‘il giornalista megafono’ che riporta nei suoi articoli quanto cinguettato da politici e politicanti. A far più paura però è il primo.
Negli ultimi anni si è insinuato nella mente di direttori e capo-redattori, il concetto secondo cui l’immediatezza sia fondamentale per un buon giornalismo. Anche se a farne le spese è la precisione. Poco importa se si è impeccabili, l’importante è arrivare. A questo si è aggiunto il ‘citizen journalism’ basato sull’idea che tutti possono fare questo mestiere. In barba alle varie scuole di giornalismo o lauree in scienze dell’informazione che provano a fornire gli strumenti necessari a svolgere uno dei mestieri più antichi al mondo. Questo ha alimentato il senso di sfiducia dei cittadini nei confronti del giornalismo.
Considerati come reietti, i giornalisti sono stati sminuiti nel loro ruolo. Complice anche il modo sbagliato di usare le tecnologie. «Queste – come scriveva Tobagi nel ‘Manifesto di stampa democratica’ del 1978 – non sono il diavolo. Ma hanno potenzialità di sviluppo positivo, di impegno nella direzione di un ampliamento dei mezzi di informazione, di diffusione della stampa in luoghi e strati sociali finora non toccati». Il nostro modo di fare giornalismo va ripensato. È questa la sfida del XXI secolo. E l’epidemia da covid-19 ne è la dimostrazione. In un periodo in cui le informazioni bombardano le nostre case, è possibile fare ordine.
Come? Rispolverando il concetto di professionalità. «Autonomia, completezza dell’informazione, esercizio del diritto-dovere di critica», sono – per Walter Tobagi – riferimenti essenziali per la professionalità. È nella paura che i cittadini vogliono sapere. È nella confusione e nel panico che hanno bisogno di punti di riferimento in grado di dare sicurezza e stabilità. E fortunatamente in questo periodo alcuni giornali hanno camminato verso questa direzione. Molti cartacei hanno fornito analisi, commenti, editoriali, studi approfonditi. Il risultato è stato un aumento dell’acquisto di copie da parte dei lettori. Anche il mondo del giornalismo online ha fatto la sua parte. Le video-interviste, le newsletter a tema – accessibili a tutti -, gli approfondimenti hanno permesso di far schizzare alle stelle gli abbonamenti online. Per non parlare dei social. Intervista in diretta su Facebook, video-schede sottotitolate, giornalisti che salgono in cattedra, mostrandosi in video, e spiegando su Instagram termini “considerati” complicati dagli utenti. Tutti questi esempi mostrano come un giornalismo ‘curato’ sia ancora pensabile. E nella lotta moderna alle fake news, le tecnologie come Google Immagini o YouTube DataViewer, possono essere considerate nostre amiche nel fornire notizie chiare e vere.
L’unica cosa da fare è pretendere di più da noi stessi. Un giornalismo attento, preciso e attivo è possibile. Basta volerlo. In ognuno di noi vive un Walter Tobagi, bisogna solo risvegliarlo.