Ecco perché (purtroppo) la politica resta un affare tra uomini

Chi lo ha detto che le donne non possono fare politica? Nessuno, eppure i ruoli amministrativi più importanti sono tutti occupati da uomini. Sindaci, governatori, deputati e senatori: tra loro, la presenza femminile è in crescita ma rimane ancora limitata. Nei 115 capoluoghi di provincia italiani, compresi quelli di regione, solo 9 Comuni sono guidati da una sindaca.

A Roma c’è Virginia Raggi – probabilmente ancora per poco, con le prossime comunali alle porte -, a Torino Chiara Appendino, la quale invece ha già fatto sapere, al contrario della sua collega capitolina, che in primavera non si ricandiderà. Entrambe sono state presentate e sostenute dal Movimento 5 Stelle. Non proprio una coincidenza, visto che tra i dati analizzati prendendo in esame le ultime elezioni comunali (dal 2018 ad oggi, ndr), i grillini risultano proprio quelli che sostengono più donne. Sono infatti 17 le candidate a sindaco dai pentastellati, 9 quelle scelte dal Pd – tra cui Valeria Mancinelli, rieletta ad Ancona dove è la ‘prima cittadina’ ormai dal 2013 – e solo 5 dal centrodestra.

Presenza femminile nelle elezioni comunali e regionali dal 2018 a oggi. @NicolòRubeis
Boom nelle liste civiche

Cosa deve fare una donna per provare a guidare un Comune? La risposta, inesorabile, è tutta nei numeri presi in questione. Negli ultimi due anni il 58% delle candidate ha dovuto mettersi in proprio scegliendo la via della lista civica o ha trovato spazio con qualche partito minore. Quelli tradizionali invece, continuano a preferire figure maschili. Spesso si è detto che una campagna elettorale al femminile finisce per essere strumentalizzata per il solo fatto che la candidata sia una donna – come se questa sia una colpa o un indice di debolezza – ma in molte hanno già dimostrato in varie occasioni di saper affrontare mesi difficili, rispondere a provocazioni e combattere stereotipi. Altre poi, hanno anche spiccato per la loro buona amministrazione del territorio.

Le donne della Lega

Spostando il focus sulle elezioni regionali (sempre degli ultimi due anni, ndr) il risultato non cambia. Tra i 115 candidati a governatori solo 26 erano donne, un numero gonfiato ‘dall’exploit’ delle infuocate tornate elettorali del 2020, dove è stato il centrodestra a sostenere più quote rosa.

Un anno dopo il trionfo in Umbria della leghista Donatella Tesei, capace di vincere in una Regione che la sinistra governava da oltre cinquant’anni, il Carroccio ha insistito, presentando alle urne Lucia Borgonzoni in Emilia Romagna e Susanna Ceccardi, ex sindaca di Cascina, in Toscana.

Scelte coraggiose, in due elezioni fondamentali e dai contorni fortemente nazionali. Entrambe infatti, in caso di vittoria, avrebbero potuto rappresentare la spallata definitiva al governo giallorosso che tanto si augurava Matteo Salvini.

Nel primo caso la Borgonzoni, già candidata a sindaca di Bologna nel 2016, ha subito l’effetto ‘personalizzazione’ della campagna elettorale da parte del leader leghista – che ha girato in lungo e largo per la Regione – finendo per perdere contro l’uscente e attuale governatore Stefano Bonaccini. Una sconfitta ‘più di Salvini’ che della Borgonzoni. Discorso analogo in Toscana dove però stavolta il numero uno del Carroccio non ha replicato gli errori commessi qualche mese prima lasciando più spazio alla sua agguerrita candidata. Anche qui però, ha vinto la sinistra.

Alcuni hanno accusato la Lega di aver scelto candidate ‘deboli’, ma la realtà è che a prevalere è state ancora una volta la storia politica delle due Regioni, da sempre roccaforti ‘rosse’. In Calabria invece, la fiducia di Forza Italia e del centrodestra riposta in Jole Santelli fu premiata con un’ampia vittoria a inizio anno, prima della sua prematura morte lo scorso ottobre.

Task force, tavoli e Cts. Dove sono le donne?

Attualmente la Tesei, già sindaca di Montefalco per oltre 10 anni, è l’unica donna a sedere al tavolo dei presidenti di Regione, spesso citato negli ultimi mesi per le riunioni Covid con il comitato tecnico scientifico e il Governo. Anche la gestione dell’emergenza sanitaria è stata una cosa ‘tra uomini’.

Commissioni, task force, tavoli di ogni genere, ma poche donne. Un’assenza assurda e ingiustificata, se pensiamo al fatto che la maggioranza del personale medico e infermieristico è rappresentato proprio da quote rosa. Dopo le prime nomine in primavera fece scalpore la mancanza femminile: il premier Conte, sollecitato da un mese di proteste e mobilitazioni, fu costretto a rivedere il comitato tecnico scientifico, e concedere quello che sembrò ‘un contentino’ portando a bordo sei donne, in minoranza anche nella struttura del commissario ‘tuttofare’ Domenico Arcuri.

E in Parlamento?

I miglioramenti più evidenti si hanno alla Camera e in Senato. Negli ultimi vent’anni il numero di donne elette in Parlamento è cresciuto – anche grazie al nuovo meccanismo per la parità di genere inserito nell’ultima legge elettorale – ma siamo ancora lontani da una situazione equa.

Nel primo governo Berlusconi del 1994 ad esempio, la deputate rappresentavano solo il 9% del totale della Camera e l’8% del Senato. Poco più di un parlamentare su 10 era donna mentre ora le quote rose superano il 30% del totale. Attualmente infatti, su 630 deputati 232 sono donne mentre le senatrici sono 112 su 315. Ancora una volta a fare meglio è il M5S, rappresentato da 85 elette su 196 totali alla Camera e da 40 su 92 al Senato.

Presenza femminile in Parlamento. @NicolòRubeis

Le donne continuano però a rimanere fuori dai ruoli più importanti anche nelle formazioni di governo. Nel Conte I, quello nato dalla turbolenta sinergia tra la Lega e i pentastellati, nella squadra dei 18 ministri gli uomini erano 13. Un leggero miglioramento si è avuto nell’attuale Conte II, quello ‘giallorosso’, con 7 donne su 21 a capo di un ministero. La legislatura più inclusiva fu invece quella di Matteo Renzi, dove la parità di genere era perfettamente rispettata (8 donne e 8 uomini).

Qualcosa si muove

Molti tabù sono stati comunque sfatati negli ultimi anni, come la nomina di Maria Elisabetta Casellati a presidente del Senato – Nilde Iotti nel ‘79 fu la prima a capo della Camera- e quella di Marta Cartabia al vertice della Corte Costituzionale. E mentre molte aziende si mobilitano per includere più donne nei maggiori ruoli decisionali, anche nel mondo della giustizia qualcosa si muove. Pochi giorni fa infatti, Francesca Nanni è stata scelta come nuova procuratrice generale di Milano, per la prima volta nella storia del città. Nell’attesa magari di vedere finalmente una donna anche a Palazzo Chigi, o magari al Quirinale…

Nicolo Rubeis

Giornalista praticante con una forte passione per la politica, soprattutto se estera, per lo sport e per l'innovazione. Le sfide che attendono la nostra professione sono ardue ma la grande rivoluzione digitale ci impone riflessioni più ampie. Senza mai perdere di vista la qualità della scrittura e delle fonti.

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