Per lui una società privata che organizza il Pride di Padova e che fattura oltre un milione di euro l’anno. Per lei una società di consulenza per la certificazione della parità di genere. Per entrambi un presunto conflitto d’interesse legato alle rispettive battaglie politiche. Questa l’accusa sollevata da un’inchiesta di Report, andata in onda domenica 10 dicembre, nei confronti di due deputati del Partito democratico, peraltro molto vicini alla leader Elly Schlein. Da un lato Alessandro Zan, promotore del discusso disegno di legge contro l’omotransfobia, dall’altro Michela Di Biase, politica molto attenta alle questioni di genere. Certo, i due parlamentari hanno regolarmente dichiarato alla Camera la loro partecipazione a società private: se non figura come violazione della legge, resta però una questione circa l’opportunità politica di una tale condotta.
Il Pride di Padova
Zan è amministratore unico e socio di maggioranza della Be Proud Srl, una società commerciale «costituita con 3 mila euro da tre soci», spiega il commercialista e revisore legale Stefano Capaccioli.
Con quest’azienda il deputato organizza tutte le estati il festival Lgbt più grande d’Italia, il Pride Village di Padova, che nel 2023 ha visto la partecipazione della stessa Schlein. Tre mesi di concerti, dibattiti e attività, con oltre 200 mila presenze e più di un milione e 300 mila euro di incassi. Questo il fatturato dichiarato nel 2022, «di cui», spiega Capaccioli, «oltre 700 mila euro di corrispettivi di ingresso e oltre 450 mila euro dagli incassi del bar».
Finanzia l’evento o il Partito democratico?
Insomma, un vero e proprio business sui diritti civili della comunità queer, il cui beneficiario economico effettivo sarebbe proprio il deputato che più si è speso in difesa del mondo Lgbt. Di questi introiti, ben 50 mila euro sono finiti, nell’ultimo anno e mezzo, nelle casse del Pd nazionale e locale. Il tutto in una città, Padova, che è anche il collegio dove Zan è stato eletto.
Ma per il deputato non si tratta di una società commerciale. «È un evento dove tutto quello che viene guadagnato viene riversato nell’iniziativa», si è difeso ai microfoni di Report. «Non c’è nessun tipo di guadagno». A suo dire, non si tratterebbe di conflitto d’interesse: «Ho prestato il mio nome per dare una mano, ma lo faccio con spirito di servizio, a titolo gratuito».
Il nodo ristori
Ulteriore criticità sono i contributi pubblici ottenuti. In altre parole, gli oltre 180 mila euro di ristori per il Covid-19: senza questi aiuti di Stato il bilancio 2021 sarebbe rimasto in rosso. Ma per Zan non c’è stata alcuna irregolarità. «Siccome è stata chiusa anticipatamente», ha replicato il deputato, «c’erano tutti i fornitori che avevano già installato tutto il materiale, e quelli andavano pagati. Per cui, come tutte le altre società ha chiesto un aiuto pubblico».
Consulenze per il “bollino rosa”
Di Biase risulta socia al 25% di Obiettivo Cinque, una società di consulenza per la certificazione della parità di genere. Tra le grandi aziende cui presta servizio figurano colossi come Philip Morris, Generali, Ibl Banca, Gucci e Novartis. Peccato che Di Biase abbia fondato tale agenzia già nell’aprile 2021, ossia con ben sette mesi di anticipo rispetto alla legge sui “bollini rosa” (che prevede meno tasse e punteggio per accedere ai bandi pubblici per le aziende più inclusive).
La trasmissione di Sigfrido Ranucci ipotizza che la deputata si sia avvalsa delle sue connessioni politiche: Di Biase figura tra i fondatori del Pd ed è la moglie di Dario Franceschini, un big del partito. «Michela ha avuto l’idea perché sapeva che sarebbe nata, di lì a poco, la certificazione di parità», ha ammesso una manager di Obiettivo Cinque. «Siamo stati sicuramente i primi». In altre parole, «stando nel giro della politica sapeva che c’era in ballo questa legge: infatti è stata approvata a novembre 2021, e la società nasce ad aprile». A detta della manager, hanno messo in piedi l’agenzia «tenendo in qualche modo oscura la figura di Michela. Infatti non compare sul sito internet, non compare su Instagram, perché è meglio così».
Indebita pressione legislativa?
C’è poi un’altra criticità: in questi mesi Obiettivo Cinque avrebbe contribuito a modificare un decreto in Parlamento, scrivendo un emendamento ad hoc per far rientrare la certificazione di parità nel nuovo Codice dei contratti pubblici. Una misura che ha fatto crescere il valore di tale certificazione e, di conseguenza, il giro di affari di società di questo tipo. Quella di Di Biase nel 2022 ha fatturato 200 mila euro, e ora si appresta a prendere i finanziamenti legati al Pnrr per il gender gap.
Ma la deputata ha smentito la ricostruzione di Report: «Né personalmente, né a nome di Obiettivo Cinque, ho mai avuto interlocuzioni politiche finalizzate a intervenire sulla normativa in materia». Di Biase ha precisato che non era nemmeno in Parlamento quando si è approvata la legge, e che l’idea di fondare la società le sarebbe venuta già nel 2020.
La questione delle nomine
Ma non è tutto: nel portafoglio di Obiettivo Cinque c’è Comin & Partners, un’agenzia di comunicazione politica la cui co-fondatrice e vicepresidente è Elena Di Giovanni, una manager che però ha contribuito alla nascita della stessa Obiettivo Cinque. E guarda caso, quando era ministro della Cultura Franceschini l’ha nominata nel Consiglio di amministrazione del Teatro dell’opera e della Galleria nazionale di Roma. Proprio come ha fatto con il fondatore di Comin & Partners Gianluca Comin.