“Siamo il grido di tutto quelle donne che più non hanno voce”. Questo uno dei cori che nel pomeriggio del 18 febbraio hanno infiammato Piazza del Campidoglio a Roma, durante la manifestazione portata avanti da decine di donne appartenenti a numerose associazioni e cooperative sociali della capitale. Che adesso si trovano sotto sfratto.
Tra le tante presenti, anche le volontarie della Casa Internazionale delle Donne, un consorzio di associazioni che si occupano di diritti, salute e cultura per il mondo femminile. A causa del debito di circa 900mila euro di affitto accumulato dalla Casa nei confronti del Comune, nell’agosto 2018 la giunta della sindaca Virginia Raggi aveva comunicato al consorzio la revoca della loro sede operativa. L’assemblea capitolina vorrebbe infatti indire un bando di gara per la nuova assegnazione degli spazi. Nel dicembre 2018 la Casa aveva quindi presentato una proposta di transazione economica per la risoluzione del debito e la richiesta di un comodato gratuito per il riconoscimento del valore sociale delle sue attività. Ma, dopo più di un anno, la risposta del Campidoglio non è ancora arrivata.
L’ultimo stop al consorzio è arrivato il 6 febbraio scorso dalle commissioni di Affari costituzionali e Bilancio alla Camera, dove è stato dichiarato inammissibile l’emendamento al Decreto Legge Milleproroghe per salvare la Casa con un finanziamento di 900mila euro nel 2020.
Oggi in Piazza del Campidoglio, per far sentire la sua voce, c’era anche Elisabetta Canitano, ginecologa e presidentessa di una delle associazioni della Casa: Vita di Donna, che offre assistenza gratuita per qualsiasi problema di salute femminile, specialmente in ambito di ginecologia e ostetricia.
Che messaggio vorreste far arrivare oggi alla sindaca Raggi?
Le nostre associazioni svolgono la loro attività in parte gratuitamente e in parte a prezzi sociali in sostegno alle donne. Abbiamo un debito con il Comune perché in questi anni abbiamo pagato la manutenzione ordinaria, quella straordinaria, il personale in regola, le pulizie e la gestione. Insomma, mille spese a cui abbiamo sempre fatto fronte. L’affitto, di circa 90.000 euro all’anno, non è sostenibile per le nostre entrate. Oggi siamo in Campidoglio insieme a tante altre associazioni perché vogliamo riaffermare il valore degli spazi creativi, di aiuto e aggregazione.
Si tratta quindi di una problematica diffusa tra le cooperative sociali romane.
Sì, non riguarda solo la Casa. Sussiste un problema generale per le associazioni di cittadini che in questi anni hanno fornito servizi e gestito spazi comunali. Questo atteggiamento della giunta Raggi è diventato insostenibile: sfratta le cooperative per poter indire bandi e mettere a profitto gli spazi, senza minimamente considerare la loro utilità sociale e la funzione di aggregazione sul territorio. E senza cercare soluzioni per tenere aperti questi luoghi. In questo modo si provoca la distruzione del vero tessuto sociale di questa città.
Gli spazi dell’associazione Lucha y Siesta, che si occupa di violenza di genere e di dare rifugio a donne e bambini in difficoltà, appartengono ad Atac e il 20 febbraio il Comune staccherà le utenze, lasciando così senza luce e gas le mamme e i figli che vivono in quelle 14 stanze.
E’ stata sfrattata anche l’associazione di volontariato A Roma insieme, che nei weekend portava fuori dal carcere i bambini delle donne detenute. La città vive di queste decine di iniziative gratuite: dovrebbero essere sostenute da un’amministrazione consapevole della loro importanza.
Oggi portate anche striscioni che recitano “Aborto legale, libero e gratuito”. Si riferiscono al commento di Matteo Salvini, che pochi giorni fa ha definito “stili di vita incivili” quelli di chi si reca più volte ad abortire in Pronto Soccorso?
L’unica cosa incivile in questo caso è il commento misogino del leader della Lega. Il messaggio che voleva far passare era: “quelle che conducono uno stile di vita scellerato in seguito non vogliono prendersi le loro responsabilità”.
In realtà, al contrario di quello che vuole far credere il leader leghista, sono veramente rari i casi in cui le donne si recano al Pronto Soccorso per chiedere l’interruzione volontaria di gravidanza, che si può praticare solo in strutture ospedaliere o cliniche convenzionate. E se lo fanno, si trovano in seria difficoltà. Sono le donne che non conoscono l’esistenza dei consultori, magari straniere non in regola o che hanno un ginecologo obiettore di coscienza e non hanno il coraggio di chiedere consiglio. Il Pronto Soccorso diventa in questi casi il rifugio di chi non sa dove sbattere la testa. L’unica cosa che dovremmo fare è domandarci perché nel 2020, dopo più di 40 anni dall’approvazione della legge 194 sull’aborto, si verifichino ancora queste situazioni.
Sulla sua pagina Facebook, lei ha duramente criticato il Tavolo di lavoro sulla Sanità che si è svolto a Palazzo Chigi il 17 febbraio.
Il Ministro della Salute Roberto Speranza e gli altri deputati non hanno detto una parola sulla contraccezione, sulle donne, sui consultori, sulla multa che va dai 5 ai 10mila euro per chi pratica l’aborto clandestino. Multa che, ricordiamo, è stata quadruplicata nel 2016 dall’allora Ministra della Salute Beatrice Lorenzin, la deputata che ha rappresentato il Pd in quest’ultimo Tavolo. Una misura che danneggia ancora di più quelle donne che non hanno modo di accedere al Servizio Sanitario Pubblico e che ritengo assolutamente incoerente in un paese dove la media dei medici obiettori di coscienza è altissima. Come al solito, quando si parla di diritti riproduttivi delle donne, tante parole ma pochi fatti.