Ennesimo strappo all’interno del governo giallo-verde. Stavolta lo scontro si è consumato sull’autonomia, argomento cardine del tavolo convocato dal premier Conte giovedì mattina a Palazzo Chigi. Alla presenza di Matteo Salvini e Luigi Di Maio, il dibattito si è acceso intorno a due temi chiave: scuola e salari. Al termine del vertice, conclusosi anzitempo, il leader leghista ha sbottato: «Se c’è qualcuno che sabota, qualcuno che l’autonomia non vuole farla, allora si parli chiaro. Certe cose io me le aspetto dalle opposizioni, dal Pd». Pronta la replica del capo politico dei Cinque Stelle, secondo il quale «l’autonomia si deve fare, ma non si deve fare male». Conte ha provato invece a smorzare i toni: «Ci stiamo confrontando – ha detto –, non abbiamo ancora trovato una sintesi ma sono assolutamente fiducioso che ci riusciremo. I tempi? Brevi, brevissimi».
Ma quali sono, nello specifico, i punti contestati?
Regionalizzazione della scuola
Cavallo di battaglia del ministro dell’Istruzione Marco Bussetti, la regionalizzazione della scuola mira a riorganizzare il sistema educativo italiano secondo la disponibilità economica di ogni singola regione. Nel concreto, la proposta consentirebbe di differenziare l’organizzazione didattica e modificare il sistema delle graduatorie e degli stipendi degli insegnanti. Questo, tramite il trasferimento di diverse competenze attualmente appannaggio dello Stato quali le offerte formative, l’alternanza scuola-lavoro e l’assegnazione di contributi alle scuole paritarie e al personale amministrativo.
Del tutto in linea con il mai sopito anelito federalista della Lega, il progetto si fonda sui plebiscitari esiti dei referendum in Veneto e Lombardia del 22 ottobre 2017 e sulle successive richieste di autonomia presentate anche da Emilia Romagna, Liguria, Toscana, Piemonte, Marche e Umbria. Diverse sono però le ombre relative alla possibile incostituzionalità del provvedimento. Se infatti da una parte è pur vero che l’istruzione figura tra le competenze che tali regioni hanno chiesto di acquisire, dall’altra ciò può avvenire soltanto «salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale». D’altronde, le «norme generali sull’istruzione» figurano tra le diciassette materie che, secondo l’articolo 117 della Costituzione, sono sottoposte alla «legislazione esclusiva dello Stato». In altri termini, la proposta minerebbe l’unità del sistema scolastico nazionale, creando di fatto scuole “differenziate” in base alla ricchezza dei territori. Una prospettiva che favorirebbe quindi le regioni del Nord, anche dal punto di vista dell’entità degli stipendi erogati. Il che ha determinato una fortissima opposizione da parte dei sindacati di categoria.
«Un bambino non sceglie in quale regione nascere – ha dichiarato a tal proposito Di Maio su Facebook –. Dobbiamo garantire l’unità della scuola così come l’unità nazionale». La Lega, però, continua a tirare dritto: «Negare la possibilità che una regione con risorse proprie possa fare un’offerta formativa migliore perché in un’altra regione non si può fare così – ha detto il ministro per l’Autonomia Erika Stefani – significa nega completamente il principio base dell’autonomia, che è nel contratto del governo. Se qualcuno ha cambiato idea basta che lo dica».
Gabbie salariali
Decisamente in alto mare è anche lo stato dei lavori in merito alle cosiddette “gabbie salariali”, altra proposta di matrice leghista sin dai tempi di Bossi. Si tratta di un sistema già introdotto in Italia nell’immediato dopoguerra che prevede, essenzialmente, l’adeguamento degli stipendi pubblici in base al costo della vita in diverse aree territoriali. In origine la divisione era fondata su quattro zone, poi si passò a quattordici e infine a sette. Il tutto, con differenze retributive che arrivarono talvolta a sfiorare il 30%. Cancellato nel 1969, il provvedimento venne già all’epoca accusato di aver acuito le disuguaglianze tra Nord e Sud. Ebbene, la Lega avrebbe intenzione di riproporlo nel prossimo futuro, con parametri e modalità che restano però ancora da definire.
Durissima la reazione dei Cinque Stelle: «L’intenzione – riferiscono fonti interne al Movimento – è quella di alzare gli stipendi al Nord e diminuirli al Centro-Sud: per noi è totalmente inaccettabile. Questo impedirebbe ai giovani di emanciparsi, alle famiglie di mandarli a studiare in altre università, diventerà difficile e costoso anche prendere un solo treno da Roma a Milano». All’attacco anche il ministro per il Sud Barbara Lezzi: «La Lega vuole tornare indietro di cinquant’anni. Durante il primo incontro c’erano state una serie di osservazioni che dovevano essere recepite in un testo: siamo alla terza riunione e questo testo non c’è, di qui le difficoltà incontrate». Decisa presa di posizione anche del premier Conte, che ha annunciato: «Non sottoscriverò mai qualcosa che nel momento in cui ciò consentirà ad alcuni di procedere più speditamente rispetto ad altri. L’autonomia non può costituire uno strumento per allargare il divario di alcune regioni più prospere rispetto ad altre che lo sono meno».
Che sia la goccia destinata a far traboccare il vaso dell’alleanza pentaleghista? A precisa domanda, Salvini si è limitato a rispondere: «Vedremo…»