È giusto pagare per l’informazione online?

Il mondo dell’informazione è in evoluzione e il cartaceo sta lasciando sempre più spazio all’online. Su internet le modalità di fare informazione si sono ibridate e arricchite grazie ai podcast, le pagine social delle testate, le newsletter. Questo ha permesso che i lettori fruissero con più facilità alle notizie sul web, un flusso che diventato sempre più corposo e che ha dato origine a una ormai annosa domanda: il giornalismo online è giusto che sia a pagamento? Quali sono i pro e i contro dietro il meccanismo del paywall?

Prima di tutto la qualità

Se si parla di news e informazioni è inevitabile tirare in ballo la qualità delle notizie e la loro affidabilità che, a quanto pare, sono anche gli aspetti a favore delle sottoscrizioni a pagamento. Secondo una ricerca Reuters, infatti, su 8mila persone che decidono di abbonarsi al giornalismo online, oltre il 53% dicono di farlo proprio per avere un’informazione di qualità. E da qui si genera un circolo virtuoso. Maggiori sono gli introiti, migliori saranno i prodotti giornalistici che verranno garantiti ai lettori, grazie alla possibilità di avere un numero più consistente di inviati sul campo, che possono seguire le situazioni in evoluzione con maggior puntualità. Un surplus di entrate quindi permette di avere redazioni più folte e più specializzate e con maggiori competenze settoriali.

L’online quel valido sostituto del cartaceo

La qualità del cartaceo deve essere perciò trasferita nell’online, sia per una questione di rispetto dei propri lettori, sia per una questione di mera sopravvivenza del settore. In seguito alla pandemia, infatti, in Italia il cartaceo ha perso il 24,6% delle vendite. Una percentuale che è un segnale: i giornali per continuare a sopravvivere devono investire dall’altro lato e secondo i sostenitori delle sottoscrizioni, questo lato non può che essere il paywall, per continuare ad avere ingressi continui nelle casse delle testate e per permettere ai lettori di continuare a fruire dell’informazione.

La pubblicità non basta

C’è un altro modo per sopravvivere, per le testate online, ed è la pubblicità, anche se spesso si scontra con quelle che dovrebbero essere i veri protagonisti dell’informazione: le notizie e i lettori. I pop-up e i muri pubblicitari rischiano di allontanare e alcune volte diventano il vero contenuto a discapito delle news o approfondimenti. Per di più, l’analisi fatta dal Wall Street Journal su Buzzfeed mostra come la testata abbia perso dai 50 ai 70milioni di dollari, nonostante avesse ampliato il proprio spazio pubblicitario. La fetta pubblicitaria, ormai è spartita tra Google e Facebook, cioè le multinazionali della comunicazione.

L’eccezione del Guardian

Ma guardiamo agli esempi concreti. Dei primi 10 giornali che hanno dei ricavi dagli abbonamenti – tra cui il New York Times, il Washington Post e il Wall Street Journal – solo uno non prevede il paywall, il Guardian. Una scelta che è vincente per il giornale inglese, solo grazie alla natura della testata: è in lingua inglese, aspetto che abbatte le barriere linguistiche e in più è un giornale indipendente cosa che comporta una minore diffidenza dell’opinione pubblica e una maggiore voglia di iscriversi, senza necessità di avere il blocco del sito, che impone di iscriversi per continuare a leggere. Il Guardian è quindi un modello vincente ma rimane un’eccezione. Mentre gli altri giornali in attivo lo sono proprio grazie al paywall.

Poche persone disposte a pagare

D’altra parte, però, solo il 20% dei lettori americani è disposto a pagare per l’informazione online. Un dato significativo che dimostrerebbe che il paywall non può costituire il modello su cui plasmare il giornalismo del ventunesimo secolo. Una percentuale così bassa, infatti, denota una scarsa fiducia dei lettori, che si traduce in un numero irrisorio di abbonamenti. Anzi, l’informazione a pagamento favorirebbe il divario tra le testate più grandi che hanno già un pubblico di lettori fidelizzato e quelle più piccole, che lo diventerebbero ancor di più.

Informazione di serie a e di serie b

Inoltre, come riportato dal sito Visual Capitalist, la maggior parte del 20% di americani disposto a pagare per fruire dell’informazione online, si abboni ad una sola testata. Questo dimostrerebbe come il paywall alimenti la nascita di filter bubble, ostacolando la formazione di un’informazione pluralista. La prova arriva dal confronto tra le testate più conosciute: il New York Times domina incontrastato la classifica con 7,5 milioni di abbonati, mentre il Washington Post – che si classifica secondo – conta “solo” 3 milioni di lettori online.

Ai margini della società

L’introduzione di un paywall online, quindi, rischierebbe di generare due tipi di informazione qualitativamente opposti, contribuendo ad alimentare divari sociali e non solo tra la popolazione. Il rapporto prodotto da Reuters evidenzia, infatti, che ad essere disposte a pagare l’informazione online sono le categorie più colte e benestanti. A restare esclusi dall’informazione di qualità i giovani e le categorie meno abbienti, che si troverebbero così privi di strumenti fondamentali per poter partecipare attivamente ai processi politici della società cui appartengono.

Federica Grieco

Sono una giornalista praticante per MasterX con una laurea in Scienze Politiche, indirizzo internazionale, all’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Durante gli anni universitari, tra corsi, libri e conferenze con esperti, ho sviluppato una forte curiosità nei confronti dello scenario internazionale. Al termine dei miei studi, ho deciso di iscrivermi al Master di Giornalismo IULM per acquisire tutte le competenze necessarie per intraprendere questa professione. Ho svolto il primo stage curricolare, della durata di due mesi, presso la redazione del sito di Tgcom24.

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