Auto a guida autonoma: quale futuro per la sicurezza stradale?

 

La pubblicità potrebbe ingannare: un uomo al volante con gli occhi concentrati su un libro mentre l’automobile va in tutta sicurezza. Un futuro prossimo in cui addormentarsi alla guida non sarebbe la premessa di una tragedia, ma una conseguenza naturale data dalla comodità del viaggio. L’industria automobilistica che investe da anni sui veicoli a guida autonoma – da Tesla a Uber – lavora perché questo diventi possibile testando la propria tecnologia e attirando su di sé tanto interesse, quanto dubbi e paure.

A Tempe, in Arizona, lo scorso 19 marzo un’auto Uber con pilota autonomo ha investito e ucciso una donna mentre attraversava la strada in un tratto buio e senza strisce, causando il primo incidente mortale dovuto a una tecnologia non in grado di reagire a un imprevisto come un pedone che sbuca all’improvviso.

Tragedia che ha spinto la multinazionale californiana a sospendere immediatamente le sperimentazioni in tutte le città statunitensi in cui erano in corso test di vetture con AutoPilot. Non certo un segno di resa, ma forse un passo indietro per rispondere alle prevedibili polemiche sulle sicurezza e, magari, incrementare la ricerca sulle difficili programmazioni per queste vetture.

«Nel momento in cui ci muoviamo nel traffico comunichiamo agli altri le nostre intenzioni – commenta Rossana Actis Grosso docente di ergonomia cognitiva all’Università Bicocca di Milano – Un’auto che si guida da sola è un mezzo che finora non riesce a comunicare l’intenzione a un ciclista o a un pedone, per esempio, quando quest’ultimo deve attraversare le strisce».  Con il morto di Tempe si è riaperto il dibattito riguardante l’effettiva sicurezza delle auto a guida autonoma.

Secondo il New York Times, questa tipologia di automobile, per esempio a marchio Tesla, su una scala di sicurezza che va da 1 a 5 viene classificata di livello 2. Le auto più sofisticate sul mercato attuale si troverebbero tra il livello 3 e il livello 4. Obiettivo dell’industria è quello di raggiungere la massima automazione, corrispondente al quinto livello, ovvero quello di una macchina completamente autonoma e sicura, in grado di circolare in qualsiasi luogo e in qualunque condizione meteo, capace di dialogare non soltanto con altri mezzi di trasporto ma anche con la segnaletica stradale.

Basteranno questi standard per rassicurare l’opinione pubblica? «Non sappiamo se queste auto siano programmate per salvare l’autista a bordo o un bambino che attraversa improvvisamente la strada: l’auto sterza o non sterza? C’è il problema della falsa sicurezza – aggiunge Actis Grosso –  Più che demonizzare la tecnologia, dobbiamo capire che dietro ci deve sempre essere un essere umano seduto al posto di guida, pronto ad afferrare il volante e a riprendere il controllo dell’auto qualora fosse necessario».

Un altro grande tema riguarda poi il concetto di responsabilità. Nell’eventualità di un incidente nel quale risulti coinvolta un’auto a guida autonoma, quali potrebbero essere le responsabilità della tecnologia? Quest’ultima, nonostante riesca a tracciare e controllare la traiettoria della vettura, identificando gli ostacoli grazie a sensori e telecamere, come potrebbe essere equiparata alla responsabilità di un essere umano?

«Il traffico stradale al momento è troppo caotico per un inserimento sicuro di questi veicoli – prosegue la studiosa della Bicocca – si può pensare alle autostrade: non a caso Arizona e California si sono proposte di sperimentarle, perché hanno pochissimi centri urbani caotici. Una valutazione oggettiva sull’affidabilità e sulla sicurezza di questi mezzi autonomi, non dovrebbe essere fatta su quanti chilometri macinano ma su dove vengono percorsi, in quale densità di traffico».

Sulla percezione di affidabilità delle auto a guida autonoma tornano utili i dati di un recente studio del 2015 del Boston Consulting Group (BCG), svolto su 10 paesi con oltre 5mila persone intervistate. Di queste, quasi il 60% aveva infatti dichiarato di essere pronto a salire su un’auto a guida autonoma; soltanto il 35% avrebbe però lasciato il proprio figlio in mano all’intelligenza artificiale.

Nella corsa verso la creazione di una tecnologia ottimale, Uber e Tesla sono alcune delle tante società che investono nel settore. Oltre alle tradizionali case automobilistiche come Audi, Bmw, Ford, Mercedes, Nissan, Toyota, Volkswagen, Volvo, sono presenti in prima fila anche i giganti della Silicon Valley come Google, Apple e Microsoft oppure la cinese Huawei. Dallo stesso studio del BCG è emerso, infatti, che il 46% preferirebbe che una Self Driving Car fosse prodotta da un’industria automobilistica.

Servizio a cura di Alessandro Di Stefano, Antonio Lopopolo, Federico Rivi

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