«Vago, ma interessante». È stato questo il commento rivolto a una delle idee più rivoluzionarie della storia: quella dell’odierno world wide web.
È il 12 marzo del 1989 quando un giovane Tim Berners-Lee, programmatore informatico che lavora per il Conseil Européen pour la Recherche Nucléaire – noto ai più con la sigla di CERN -, presenta un progetto destinato a cambiare il mondo della comunicazione.
Nonostante spesso vengano impiegati come sinonimi, “internet” e “web” non sono affatto la stessa cosa: il primo indica il network che collega computer, server e centri data attraverso tutto il globo; il secondo è invece uno dei mezzi con cui possiamo accedere alle informazioni archiviate proprio su tale rete.
Quando ad esempio inviamo una e-mail, questa viaggia tramite internet, ma non attraverso il web, così come accade anche in software di messaggistica istantanea come Whatsapp o Skype; il web, invece, per trasmettere le informazioni utilizza l’hypertext transfer protocol – l’“http” con cui siamo tanto familiari.
Quest’ultimo si basa per l’appunto sull’ipertesto, ovvero il testo riprodotto sugli schermi di computer o altri device con collegamenti (hyperlink) ad altro testo, cui gli utenti possono facilmente accedere attraverso un semplice click.
Nel 1989 internet era già sviluppata e il centro di ricerca ginevrino ne rappresentava lo snodo centrale in Europa: da qui l’idea di Berners-Lee di unire le due tecnologie in un unico sistema, volto a velocizzare e semplificare l’accesso all’informazione.
«In quei giorni – racconta Berners-Lee – c’erano informazioni diverse su computer diversi, ma per ottenerle si era obbligati a fare l’accesso direttamente sugli altri computer. Addirittura, a volte eri costretto a imparare diversi programmi per operare con un computer differente. Spesso era molto più semplice informarsi direttamente dalle altre persone in pausa caffè».
Un’idea nata dunque dalla necessità e riassunta dal programmatore in un documento denominato Information Management Information: A Proposal. La prima bozza del “web”, che Berners-Lee immaginava proprio come una “ragnatela” dell’informazione.
La proposta, in realtà, non fu immediatamente approvata. Mike Sendall, al tempo suo manager, siglò il foglio con una frase che sarebbe divenuta iconica:
«Vague, but exciting».
Non una bocciatura totale, ma nemmeno un lasciapassare assoluto: il web non fu infatti un progetto ufficiale del CERN, ma un piano a cui Berners-Lee lavorò personalmente nell’anno succesivo su concessione del suo diretto superiore.
Sul finire del 1990, il programmatore aveva dato forma alle tre tecnologie che tuttora costituiscono le fondamenta del web:
- L’HyperText Markup Language (HTML), lo stile di formattazione del linguaggio per il web.
- L’Uniform Resource Identifier (URI, noto anche come URL), un tipo di indirizzo unico usato per identificare ogni singola risorsa sul web.
- L’HyperText Transfer Protocol (HTTP), il protocollo che permette di risalire ad altre risorse sul web tramite l’uso di collegamenti (link).
Nel 1991 il sistema veniva allargato anche all’esterno del CERN. Berners-Lee iniziava a comprendere che il suo vero potenziale avrebbe visto la luce solo se il web fosse stato utilizzabile da tutti, in qualunque luogo, senza bisogno di permessi o pagamenti.
«Se la tecnologia fosse stata di proprietà e ne avessi mantenuto il totale controllo – ammette -, dubito che avrebbe avuto successo. Non puoi proporre qualcosa come uno spazio universale e tenerlo sotto il tuo controllo allo stesso tempo».
Il codice impiegato per costruire il web appartiene a tutti: questa decisione fu formalizzata ed annunciata nell’aprile del 1993, dando via ad un’ondata globale di creatività, collaborazione e innovazione mai vista in precedenza.
L’evoluzione negli anni che seguirono fu esponenziale: nel 2014, in occasione del 25esimo compleanno del web, si stima che in media questo fosse utilizzato da due persone su cinque nel mondo.
Ma l’espansione irrefrenabile e le vastissime potenzialità del web celano inevitabilmente anche dei lati oscuri: uno di questi, paventato dallo stesso Berners-Lee, è l’istituzione di una cultura del controllo globale, fondata sull’enorme quantità di dati personali che gli utenti mettono in rete.
Questa potrebbe contribuire alla stagnazione del web stesso, nato appunto come un sistema libero e inclusivo. «Mina la libertà d’espressione, rende la vita facile ai regimi repressivi e mette addirittura in pericolo la stessa vita degli utenti», ha avvisato l’inventore.
Un altro fenomeno dilagante è il contagio delle fake news: uno studio del MIT stima che su Twitter l’informazione falsa viaggi sei volte più velocemente di quella reale, finendo per generare una perdita di fiducia nei confronti del web.
Infine, uno scenario che rischia di profilarsi è quello del cosiddetto “splinternet”: la continua introduzione di normative da parte di governi nazionali ed internazionali a scopo di controllare l’attività in rete, rischia di portare ad una frattura del web e dell’internet nella sua interezza, riducendo il tutto ad una serie di isolati frammenti regionali.
Berners-Lee immaginava un mondo interconnesso e senza barriere, in cui gli utenti di tutto il globo avrebbero potuto fruire della stessa esperienza indipendentemente dalle loro diversità.
La negazione del suo sogno, 30 anni dopo, è la minaccia più grande per il web.