Emmanuel Carrère in IULM: «V13 è il racconto collettivo del processo del secolo»

«In ciascuno di noi c’è una finestra spalancata sull’inferno». È con questa frase del libro L’Avversario che il giornalista Luca Mastrantonio, docente del corso Raccontare la cronaca nel web, apre l’incontro con lo scrittore Emmanuel Carrère. A marzo è stato pubblicato V13, il suo ultimo romanzo di non fiction sul processo ai terroristi islamici, che venerdì 13 novembre 2015 hanno attaccato il Bataclan di Parigi.

Più di 500 testimonianze
La copertina di V13

Un’opera in bilico tra la cronaca giudiziaria e un documentario, in cui le parole che rivestono le testimonianze di vittime e imputati sono immagini potenti e «quasi tutte hanno l’accento della verità». Nel suo V13 Carrère mette a nudo la sua anima di sceneggiatore e regista. «Ho seguito il processo da settembre 2021 a giugno 2022. È stato come se per nove mesi avessi girato un film e successivamente montato il tutto. Mentre scrivevo le cronache settimanali per l’Obs sapevo che poi le avrei raccolte in un libro» racconta l’autore. “Mettersi a nudo” è una delle peculiarità dello stile di Carrère, spesso accusato di abusare dell’io narcisistico nei suoi libri, ma nel caso di V13 questo tratto caratteristico è meno evidente. «Scrivendo ho ascoltato i miei sentimenti, il mio cuore. Sono stato guidato essenzialmente dai fatti che poi ho messo giù dal mio punto di vista. Ho ascoltato più o meno 500 testimonianze di persone che hanno mostrato una gamma completa di reazioni umane: le più belle ma anche quelle più patetiche. Questo mi ha permesso di scrivere un racconto collettivo – continua lo scrittore – Non posso promettere, però, che nel mio prossimo romanzo non tornerò io in primo piano».

Un racconto comunitario, tra vittime e imputati

Un racconto collettivo costruito anche attraverso la voce di Nadia, la mamma di Lamia, una delle vittime ammazzata in un bistrot, insieme al ragazzo che frequentava. «Non ha raccontato il suo dolore personale, ma voleva capire gli imputati, voleva entrare nei loro pensieri», così Carrère parla di Nadia. La sua testimonianza è durata più di un’ora e si è conclusa con un appello agli avvocati della difesa: “Ora tocca a voi, fate il vostro lavoro, ma fatelo bene”. Mesi dopo, tra il silenzio totale degli imputati, uno di loro si è alzato in piedi per parlare con lei. Solo con lei. Riportare indietro sua figlia sarebbe stato impossibile, ma voleva darle una risposta, spiegare le motivazioni di quello che aveva fatto. «Quando noi parliamo dei jihadisti, leggiamo solo l’ultimo capitolo del libro. Questa storia andava spiegata fin dall’inizio. Con i miei occhi, durante il processo ho visto formarsi una comunità» racconta l’autore.

Avrei fatto la stessa cosa?

Una comunità che ha mostrato l’insondabile mistero del bene, attraverso le sue sfumature: «Abbiamo sentito un’intensità umana assurda, il coraggio e l’altruismo di queste persone e la loro capacità di potersi sacrificare per gli altri – continua – Due testimoni, un uomo e una donna, quella sera, si trovavano sulla balconata di fronte al Bataclan. Non si conoscevano. Il ragazzo aveva la possibilità di scappare, ma non l’ha fatto. La ragazza era bloccata, non riusciva a muoversi. Allora, lui ha deciso di stare con lei. Si sono salvati entrambi». Carrère, nel libro, si chiede che cosa avrebbe fatto se fosse stato al loro posto. A questa domanda, logorante, non sa rispondere.

Il Bataclan, la sala concerto di Parigi

Lo stesso scrittore che si sente in bilico, quando pensa che avrebbe potuto conoscere quei terroristi nell’hotspot di Leros, in Grecia, solo qualche mese prima nel 2015. «Avevo partecipato a un corso di scrittura con dei giovani siriani, che volevano raggiungere l’Europa. Avevo raccolto le loro storie con molta partecipazione ed empatia. Mi sono chiesto se avessi potuto capire prima che uno di loro sarebbe stato un terrorista. Anche questa domanda rimane senza risposta», dice Carrère.

Capire, non giustificare

V13 cerca di cogliere le sfumature dell’essere umano, anche quelle più difficili da comprendere e accettare. L’autore spiega che l’obiettivo del processo è quello di «capire gli imputati», ricordando che «capire non vuol dire giustificare» come invece aveva affermato il primo ministro dell’epoca Manuel Valls. Provare a trovare un senso in quegli attentati «non impedisce di pronunciare pene anche molto pesanti» osserva Carrère.
In questo senso si capisce la scelta dell’autore di concedere ampio spazio alle voci dei tanti testimoni, nonostante gli elementi simili dei vari racconti. «Non ci sono e non ci possono essere ripetizioni – scrive Carrère nel libro – perché quegli stessi momenti ciascuno li ha vissuti con la sua storia, con le sue conseguenze, con i suoi morti, e li racconta adesso con le sue parole». 

Carlotta Bocchi

Un libro nello zaino e una canzone nella testa. Scarpe comode per vagare nella mia città, Milano, accogliente e ostile allo stesso tempo. Sono appassionata di cronaca, mafie e criminalità, migrazioni e tematiche sociali.

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