Sorvegliati speciali perché considerati “socialmente pericolosi”. Il motivo? Aver combattuto contro l’Isis e i gruppi jihadisti che occupano la Siria. È quanto potrebbe accadere a cinque giovani di Torino, partiti per la Siria in momenti diversi, ma con un unico scopo: dare il proprio contributo alla guerra contro Daesh, per aiutare la popolazione oppressa dal fondamentalismo islamico e impedire che l’avanzata dell’Isis potesse portare a nuovi attacchi contro l’Occidente. Tra di loro c’è Davide Grasso, volontario a fianco delle forze curde dopo gli attentati terroristici a Parigi nel novembre 2015, quando morirono 130 persone, di cui 90 solo nell’assalto al Bataclan.
«Sono partito dopo gli eventi del 2015. Ho vissuto a Parigi, ho studiato e ho lavorato lì, ho molto amici, e la città ha un significato particolare per me. Quanto successo mi ha scosso e mi ha fatto riflettere su quanto la nostra generazione sia vittima di questi attentati e non abbia modo di rispondere». Davide Grasso riassume così il momento in cui ha deciso di partire alla volta della Siria. Il giovane torinese racconta di come l’ennesimo attacco contro l’Europa l’abbia fatto sentire impotente di fronte ai miliziani dell’Isis, che si scagliano, armati, contro i civili inermi, e di aver desiderato che la sua generazione potesse combattere ad armi pari.
E così è giunto prima in Iraq, da dove, tramite una serie di escamotage, è riuscito a passare il confine e a raggiungere la Siria. Davide è andato da solo, senza compagni, ma una volta arrivato sul territorio preda di Daesh ha scoperto di non essere l’unico giovane figlio dell’Unione Europea ad aver sentito questa chiamata. «Arrivato in Siria ho trovato molti francesi, quasi tutti giovani ma anche persone di una certa età. Molti europei hanno sentito di dover far qualcosa, non solo per le nostre città, ma anche perché è giusto aiutare le persone che vivono là». Come Giovanni Francesco Asperti, originario di Bergamo, caduto il 7 dicembre a Derik, in Siria, dove si era recato volontario per aiutare le forze siriane democratiche.
Inizialmente non ha avuto il coraggio di imbracciare un’arma e combattere: sulle prime infatti Grasso si è organizzato con un reportage indipendente, portato avanti per due mesi, con cui ha esplorato la società della Siria del Nord e il modo in cui sta cambiando. Una volta entrato in contatto con quella realtà però, racconta il giovane, non è riuscito a restare indifferente, e per cinque mesi si è affiancato alle unità di protezione del popolo, che fanno parte delle forze siriane democratiche. Sono quelli che comunemente vengono definiti “truppe curde”, ma sono una realtà molto sfaccettata: tra le file di questo “esercito” vi sono infatti anche arabi, cristiani, europei.
Davide è stato in Siria due volte, l’ultima volta nell’autunno 2017. Se potesse tornare indietro e scegliere di nuovo, ripartirebbe senza alcun dubbio. «È giusto, e necessario, combattere i gruppi jihadisti: non c’è solo l’Isis infatti, ma ce ne sono diversi. Per esempio quelli appoggiati dalla Turchia, che tengono in ostaggio una parte dei siriani. Il fatto è che la religiosità è qualcosa da vivere nel personale, senza doverla imporre a nessuno».
Ma Grasso non ha mai smesso di lottare per la Siria: una volta tornato, ha girato l’Italia organizzando incontri con docenti e studenti nelle scuole, per dare la propria testimonianza. Questo fino alla mattina del 3 gennaio, quando la polizia ha suonato al campanello di casa sua per comunicargli una notifica dalla Procura di Torino: Davide, insieme ad altri 4 giovani torinesi partiti per la Siria per combattere il fondamentalismo islamico, è accusato di essere “socialmente pericoloso” perché in Medio Oriente ha imparato a usare le armi quando si è unito alle forze curde. Il provvedimento chiesto dal Procuratore della Repubblica di Torino è la sorveglianza speciale, che prevede l’allontanamento dalla città di Torino per due anni e una serie di limitazioni alla libertà personale.
L’udienza è fissata al 23 gennaio, e lì sarà un collegio di giudici a decidere se è necessario o meno applicare il provvedimento ai cinque giovani. Fino a quel momento, Davide e gli altri quattro ragazzi non possono fare altro che domandarsi il perché di questa notifica, e cosa accadrà se verrà confermata la sorveglianza speciale. «Da quando sono tornato ho girato il Paese per raccontare la mia esperienza. Se fossi un sorvegliato speciale, questo non mi sarebbe più possibile. Non dico che la mia voce sia essenziale, ma comunque sarebbe una in meno».