Proprio quando l’accelerazione della campagna vaccinale sembrava aver spento la crisi sanitaria da Covid-19, gli Stati Uniti di Joe Biden si trovano ad affrontare un’altra situazione di emergenza, questa volta migratoria. Da settimane ormai, decine di migliaia di migranti – quasi tutti provenienti dall’America Centrale – si stanno ammassando al confine messicano con l’obiettivo di entrare negli Stati Uniti. Soltanto a febbraio sono state più di 100mila le persone arrestate dal Border Patrol.
Proprio mentre la situazione al confine continua a peggiorare, il presidente Joe Biden ha messo in moto la riforma del sistema di accoglienza e immigrazione, che – negli Stati Uniti come in Italia – si conferma ancora una volta terreno di aspri scontri politici. Il 18 marzo scorso, infatti, la Camera americana – a maggioranza democratica – ha approvato l’American Dream and Promise Act, un provvedimento che apre la strada per la cittadinanza ai cosiddetti “dreamers”, giovani immigrati entrati negli Stati Uniti illegalmente da minorenni, spesso fuggendo da guerre o disastri naturali.
L’approvazione della legge, che per entrare in vigore dovrà prima superare il banco di prova del Senato, ha riacceso i riflettori sul tema dell’immigrazione, su cui Joe Biden ha promesso una forte discontinuità rispetto alle politiche del suo predecessore, Donald Trump.
Dream Act: una legge mai approvata
Il dibattito sui dreamers e sui programmi di protezione per gli immigrati irregolari ha avuto inizio nel 2012, quando l’amministrazione di Barack Obama varò il Daca (Deferred Action for Childhood Arrivals), il programma del governo federale che offre alle persone arrivate illegalmente negli Usa da bambini il diritto temporaneo di vivere, studiare e lavorare legalmente in America. Il Daca permette di ottenere un permesso rinnovabile ogni due anni, dando la possibilità di iscriversi al college, essere assunti e costruirsi una propria vita.
I destinatari di questo programma sono stati definiti “dreamers” non solo per richiamare la mitologia del sogno americano, ma anche in riferimento ad una legge molto contestata e mai approvata dal Congresso: il Development, Relief and Education for Alien Minors Act, o più semplicemente Dream Act. Il provvedimento in questione è stato introdotto per la prima volta nel 2001 da una commissione bipartisan del Congresso, ma da allora non è mai riuscito a godere di una maggioranza politica abbastanza ampia per trasformarsi in legge. Il Daca, infatti, fu istituito personalmente da Obama proprio dopo l’ennesimo tentativo fallito da parte del Congresso di riformare il sistema dell’immigrazione.
Attualmente, sono oltre 600mila i beneficiari del programma, la maggior parte provenienti dal Messico o dal Sud America. Secondo le stime dell’Istituto per le Politiche Migratorie, tuttavia, a soddisfare i requisiti per aderire al Daca sarebbero oltre due milioni di persone.
La battaglia si sposta nei tribunali
Con l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti, il programma ha subito una brusca battuta d’arresto. Nel corso della campagna elettorale, il tycoon si era reso portavoce dell’ala più radicale del Partito Repubblicano, annunciando di voler costruire un nuovo muro al confine con il Messico e voler metter fine alle politiche migratorie dell’amministrazione Obama.
Dopo la vittoria alle presidenziali del 2016, Trump ha mantenuto la promessa e nel corso del suo primo anno alla Casa Bianca ha sciolto il Daca. Il perfezionamento dell’atto, tuttavia, fu rimandato di sei mesi, così da permettere al congresso di decidere come gestire gli oltre due milioni di individui che, una volta terminato il programma, sarebbero stati privati del loro status.
L’accordo fra democratici e repubblicani non fu raggiunto. Nel frattempo, tuttavia, decine di gruppi per i diritti civili, università e Stati a guida democratica fecero causa al governo federale, spostando la battaglia nelle corti dei tribunali e portando ad uno stop del piano amministrativo messo a punto da Donald Trump. Il tira e molla sul rinnovo del Daca è arrivato a coinvolgere anche la Corte Suprema, che nel giugno 2020 ha deliberato definitivamente contro la decisione dell’ex presidente di mettere fine al programma.
L’alta corte americana, massimo organo giurisdizionale del paese, ha definito la decisione di Trump «arbitraria» e «capricciosa» e ha sottolineato la necessità di «evitare la deportazione» dei dreamers per farli «restare nel paese». Nella maggior parte dei casi, infatti, si tratta di persone arrivate negli Stati Uniti in età prescolare, che non hanno nessuna familiarità con i propri paesi di provenienza e si sentono a tutti gli effetti cittadini americani. Come prevedibile, la decisione della Corte Suprema ha mandato su tutte le furie Donald Trump, che ha definito la sentenza «un colpo di fucile in faccia per i Repubblicani».
I dreamers tornano a sperare
Con l’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca, le cose hanno iniziato a cambiare fin dal primo giorno, quando il presidente ha subito riattivato il programma Daca con un ordine esecutivo. Un’inversione di marcia importante rispetto ai quattro anni di amministrazione Trump, che ha riacceso le speranze di milioni di dreamers.
La nuova legge approvata dalla Camera il 18 marzo scorso, il Dream and Promise Act, offrirebbe uno status legale a circa due milioni di giovani immigrati irregolari, arrivando a coinvolgere più del doppio delle persone che oggi beneficiano del Daca. Una seconda misura approvata alla Camera mira a facilitare l’ottenimento del permesso di soggiorno anche per i lavoratori agricoli immigrati, che il governo stima che possano rappresentare all’incirca metà della forza lavoro agricola di tutto il Paese.
Le due misure hanno incontrato una forte opposizione dei deputati repubblicani, che proprio nelle scorse settimane hanno attaccato il presidente Biden sulla gestione del confine con il Messico, dove – stando ai dati del Dipartimento della sicurezza – è in atto il maggiore flusso di migranti degli ultimi due decenni. Per i repubblicani, la regolarizzazione dei dreamers corrisponde a una «amnistia generalizzata», che spingerebbe ancora più persone del Centro e del Sud America a provare ad entrare negli Stati Uniti.
A soli due mesi dall’insediamento di Biden alla Casa Bianca, dunque, l’immigrazione è diventato uno dei dossier più scottanti sulla scrivania del nuovo presidente. Per entrare in vigore, la riforma del sistema di accoglienza e concessione della cittadinanza dovrà avere il lasciapassare del Senato, dove democratici e repubblicani sono in una situazione di sostanziale parità. L’approvazione della legge è tutt’altro che scontata, ma le divisioni del Partito Repubblicano – ancora alle prese con il vuoto di leadership lasciato da Trump – potrebbero aprire qualche spiraglio. Dopo anni di fallimenti e accordi mancati, milioni di giovani americani potrebbero finalmente uscire dall’invisibilità.