UNIFIL ancora sotto attacco, 8 razzi da Hezbollah

Una pattuglia di "caschi blu" italiani della missione UNIFIL in Libano.

Il Libano resta il fronte più caldo del Medioriente. Nonostante i rapidi passi in avanti per una tregua, tra Hezbollah e le Israel Defense Forces (IDF) continuano gli scontri. Razzi, contraerea e, in mezzo, la missione UNIFIL dell’ONU con il contingente italiano ancora sotto attacco. Questa volta bersagliato da otto razzi del Partito di Dio. Cinque gli italiani portati in infermeria per precauzione e quattro, invece, i peace keeper ghanesi feriti.

Gli attacchi

È la seconda volta in quattro giorni che la base Unifil nel sud del Libano subisce un attacco missilistico. Quello a Shama, dove si trova la base italiana, è stato il secondo di ben tre distinti incidenti avvenuti nella stessa giornata.

I primi missili sono caduti in mattinata a Ramyeh,  vicino al confine con Israele. Lì sono stati feriti quattro caschi blu del Ghana. Poi, alle 13.30,  cinque razzi di una batteria di otto sono caduti su un magazzino distruggendo molti ricambi per mezzi militari, all’interno della base di Shama. L’edificio al momento dell’attacco era vuoto, ma per precauzione cinque soldati italiani sono stati portati in infermeria. Le loro condizioni non sarebbero gravi.

Vicino a Kherbet Selm, fonti delle Nazioni Unite riferiscono di un terzo attacco.  Un miliziano avrebbe sparato contro alcuni peace keeper. Questa volta senza ferire nessuno.

Unifil, nata nel 1978, ha il compito di preservare la risoluzione 1701 delle Nazioni Unite, garantendo il rispetto pacifico del confine fra Libano e Israele. Negli ultimi mesi, però, è stata spesso vittima di attacchi, dell’una o dell’altra parte. Questa volta il responsabile pare essere Hezbollah. Anzi, secondo le forze armate israeliane, sembrerebbe che i missili caduti a Ramyeh, siano arrivati lì per errore e che fossero puntati contro mezzi e truppe dell’Idf.

Le reazioni degli Stati membri
Il ministro della Difesa Guido Crosetto
Il ministro della Difesa Guido Crosetto

L’ultimo attacco ha messo nuovamente sotto i riflettori la delicata posizione del contingente italiano sul posto. Andrea Tenenti, portavoce della missione ONU, non nasconde la preoccupazione per i 10mila caschi blu dispiegati nel sud del Libano.

Il Ministro della Difesa Guido Crosetto considera, invece, «inaudito e ingiustificabile» l’attacco alla postazione.   Dello stesso parere è anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani: «Inammissibile sparare contro Unifil, sono truppe che hanno garantito la sicurezza anche di Hezbollah». Lo stesso capo della Farnesina precisa poi che «Unifil non può avere ruolo di protezione attiva nei confronti di nessuna delle parti, né di Hezbollah né di Israele».

La reazione più radicale è arrivata dal governo argentino. Il presidente Javier Milei  ha ordinato al proprio contingente in territorio libanese di rientrare in patria.

Le trattative per la tregua

«La fine della guerra tra Israele e Hezbollah è ora alla nostra portata». L’ottimismo dell’inviato speciale USA in Libano, Amos Hochstein, non viene frenato dagli avvenimenti sul campo. L’intermediario americano sostiene che si sia aperto uno spiraglio significativo per il cessate il fuoco.

Il 19 novembre, Hochstein ha incontrato il presidente del Parlamento libanese Nabih Berri, mediatore per conto di Hezbollah. La bozza dell’accordo discusso tra i due prevederebbe il ritiro dei miliziani sciiti a nord del fiume Litani e la fine dell’occupazione israeliana. Addirittura, il Partito di Dio avrebbe anche accettato a separare il cessate il fuoco dallo stop nei combattimenti a Gaza, piegandosi alla visione di Netanyahu.

Insomma, è stata tracciata una bozza che, in linea generale, potrebbe essere approvata. Ovviamente, spiega Berri, «ci sono dettagli tecnici da sistemare». Gerusalemme, infatti, vorrebbe avere la garanzia di poter colpire le postazioni di Hezbollah in caso non intervenisse l’esercito regolare di Beirut e richiederebbe una gestione a guida statunitense nella fase di transizione escludendo UNIFIL, giudicata fallimentare. Punti non indifferenti.

Sarà cruciale, dunque, l’incontro di Hochstein con il premier israeliano Benjamin Netanyahu, previsto per il 20 novembre. Le sensazioni sono positive, ma, come dimostra la storia dello Stato Ebraico, Israele raramente rinuncia alle sue linee rosse.

5 milioni per ogni ostaggio?

Mentre l’inviato americano si affannava per trovare un punto d’incontro con la controparte libanese, Bibi, come soprannominato da alleati e rivali, ha lanciato un appello dalle spiagge di Gaza.

Giubbotto antiproiettile, elmetto mimetico e sullo sfondo il mare della Striscia, il premier israeliano lancia un messaggio chiaro: la guerra a Gaza non è ancora finita.

Concetto ribadito anche a parole: «Le nostre truppe hanno ottenuto ottimi risultati nel raggiungimento del nostro importante obiettivo: Hamas non governerà», dice il Premier nel video.

Poi, l’appello inedito. Netanyahu promette 5 milioni di dollari a chiunque riuscirà a riportare in Israele uno degli ostaggi detenuti nella striscia.  «Non molleremo. Continueremo a farlo finché non raggiungeremo tutti, sia i vivi che i morti”.

In collaborazione con Chiara Balzarini 

Ettore Saladini

Laureato in Relazioni Internazionali e Sicurezza alla LUISS di Roma con un semestre in Israele alla Reichman University (Tel Aviv). Mi interesso di politica internazionale, terrorismo, politica interna e cultura. Nel mio Gotha ci sono gli Strokes, Calcutta, Martin Eden, Conrad, Moshe Dayan, Jung e Wes Anderson.

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