Presidente della Commissione, del Consiglio europeo, del Parlamento e Alto Rappresentante per gli Affari Esteri. Quattro poltrone vuote che, secondo molti, già entro la sera di lunedì 17 giugno saranno riempite. Almeno a livello ufficioso. A Bruxelles, infatti, i capi di Stato e di governo dei Paesi comunitari si riuniranno in un vertice informale convocato dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel. L’obiettivo è di definire gli equilibri politici continentali dei prossimi cinque anni.
Ursula bis
«Le decisioni saranno prese molto rapidamente», la rassicurazione del cancelliere tedesco Olaf Scholz ai margini del G7 appena concluso. «Bisogna consentire all’Unione Europea di agire fin da subito». Rapidità che sicuramente è stata aiutata dai risultati elettorali dell’8 e 9 giugno: la riconferma dei popolari come forza trainante e dei socialisti come primi inseguitori. L’equilibrio non è stato neanche lontanamente scalfito dalla crescita della destra conservatrice e sovranista.
Lo status quo è stato rispettato in Parlamento. Ed è altamente probabile che la stessa cosa accadrà per i posti di vertice dell’Ue, già con le trattative che lunedì terranno banco dalle 18 in poi. Ursula von der Leyen è pronta a ricevere il secondo incarico consecutivo come presidente della Commissione. L’ufficialità arriverà il 27-28 giugno durante la prossima riunione del Consiglio europeo. E sarà ratificata dalla maggioranza parlamentare il 18 luglio: passaggio più formale che altro, visto il sostegno alla politica tedesca da parte di Ppe, S&D, Liberali e Verdi.
«Ci sono tutte le indicazioni che Ursula von der Leyen potrà svolgere un secondo mandato». Una sorta di segreto di Pulcinella che Olaf Sholz si è preso la briga di dichiarare di fronte ai microfoni di Borgo Egnazia. «Si tratta solo ora di mettere insieme il tutto in maniera molto veloce e coerente. E ci riusciremo».
La grana Meloni
È vero che il sistema dello Spitzenkandidat non va molto a genio al Consiglio europeo. Che il partito vincitore indichi sua sponte il candidato per la Commissione ha spesso causato diverbi interni. Nel 2019 il Ppe aveva proposto Manfred Weber ma la maggioranza qualificata non era stata raggiunta, costringendo i leader a scegliere Ursula von der Leyen. Il meccanismo è particolarmente indigesto perché non normato da nessun Trattato: l’unico obbligo del Consiglio è infatti quello di rispettare il risultato delle elezioni. In questo caso, eleggere un nome che provenga dall’area popolare.
Altro tema scottante è l’avvicinamento degli ultimi mesi tra la presidente uscente della Commissione e la premier italiana Giorgia Meloni. «Non è un segreto che [Meloni] sia all’estrema destra dello spettro politico», ha commentato Scholz. «Ci sono differenze politiche abbastanza ovvie». I voti dell’Ecr, il gruppo europeo di cui Meloni è leader, non dovrebbero essere necessari alla rielezione. Probabile, però che si cerchi di averne almeno l’appoggio esterno. Nonostante per farlo si debba vincere la resistenza di moderati e socialisti: «Vorremmo che il futuro presidente della Commissione possa contare sui partiti democratici tradizionali del Parlamento europeo»
Gli altri top job
Non solo Commissione. Non sono mancate suggestioni per gli altri ruoli di vertice. A partire dal presidente del Consiglio europeo, che per la regola dell’alternanza dovrebbe spettare ai socialisti. Si parla di Antonio Costa, che avrebbe un vantaggio rispetto al danese Mette Frederiksen e agli italiani Enrico Letta e Mario Draghi.
La questione dell’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri, invece, è più spinosa. Il volto più quotato è quello della liberale Kaja Kallas. Molti però storcono il naso: la politica estone sarebbe troppo rivolta al politico russo orientale, e troppo poco ad altri fonti di guerra come quello mediorientale e quello africano. Per il Parlamento il nome è ancora quello di Roberta Metsola del Ppe. Ma in questo caso gli accordi tra i leader dei Paesi contano poco: a decidere saranno direttamente i 720 nuovi europarlamentari.