Con gli S-400 russi fermi in magazzino, la Turchia in crisi chiede aiuto agli USA

L’emergenza sanitaria da nuovo coronavirus ha messo in ginocchio l’economia turca. Il Paese, che pure ha inviato aiuti in giro per il mondo, ora ne è alla ricerca a sua volta. La Turchia ha un forte bisogno di valuta estera per garantirsi la liquidità necessaria a fronteggiare la pandemia. Scartato il ricorso al Fondo monetario internazionale, punta a una linea swap con la Fed statunitense. Questa scelta spariglia le carte al tavolo della geopolitica: si riapre il dialogo tra i due Paesi dopo lo strappo dovuto all’adesione da parte della Turchia al sistema missilistico di difesa aera russo S-400.

IL LENTO DECLINO DELL’ECONOMIA TURCA

È il 13 gennaio quando il ministro delle Finanze turco Berat Albayrak, genero del presidente Recep Tayyip Erdoǧan, annuncia il calo del premio di rischio del Paese a 267 punti base, il livello più basso da maggio 2018. «La performance del 2019 ha rinvigorito la fiducia nel nostro Paese – si legge nel tweet – Faremo ancora meglio nel 2020». Ma l’indice schizza a 340 punti base nei giorni dell’escalation militare a Idlib, provincia nordoccidentale della Siria, che costa la vita a oltre 30 soldati dell’esercito turco.

In questo senso, l’incontro a Mosca il 5 marzo tra Erdoǧan e il presidente della Federazione russa, Vladimir Putin, non disinnesca gli effetti collaterali della crisi ma produce “solo” un cessate il fuoco tra le parti. In pochi giorni i crediti default swaps del Paese – un derivato che permette di trasferire a un altro soggetto il rischio di non incassare il credito – sfondano il tetto dei 420 punti base insieme alla prima ammissione da parte del governo della probabile intrusione della pandemia entro i confini turchi.

L’11 marzo il sospetto diventa certezza. Il ministro della Salute turco, Fahrettin Koca, annuncia al Paese il primo caso confermato di coronavirus: «preferirei darvi notizie solo spiacevoli e non così spaventose», dichiara. Sotto questi auspici, una congiuntura economicamente già incerta va incontro a un drastico peggioramento.

BAZOOKA E PISTOLE AD ACQUA

Dove altrove si fa in varia misura ricorso all’helicopter money, solo una piccola parte dello “scudo di stabilità economica” che il governo turco appronta il 18 marzo consiste di iniezioni di liquidità. I 100 miliardi di lire turche (13 miliardi di euro circa) della misura d’emergenza vengono invece per lo più ripartiti tra agevolazioni fiscali, dilazioni dei pagamenti e tagli alle tasse per le imprese.

Alla voce “spesa sociale” figurano l’espansione della platea destinataria di un Fondo di assicurazione contro la disoccupazione e un balzello della pensione minima da 1.258 a 1.500 lire turche (192 dollari). Il pacchetto destina infine altri 2 miliardi di lire (260 milioni di euro) all’assistenza sociale.

I dati ufficiali del Ministero della Salute turco sulla diffusione del coronavirus nel Paese

L’opposizione valuta inadeguata la risposta, ma quel tanto che il governo stanzia basta ad aggiungere 3 punti percentuali al tasso di disoccupazione del Paese che nel 2019 si è assestato al 14%. In numeri, parliamo di un esercito di 4 milioni e mezzo di persone. Senza contare le restrizioni al movimento per le fasce d’età “over 68 – under 20”, che lasciano a casa ulteriori 1 milione e 400mila unità.

Si arriva così, con l’acqua alla gola, al 10 aprile, giorno in cui funzionari turchi annunciano alla Reuters l’avvio di un tavolo di trattativa con gli Stati Uniti per l’apertura di linee di swap presso la Federal Reserve. Si tratta di un accordo tra banche centrali per lo scambio delle rispettive valute: un modo per soddisfare il fabbisogno della banche commerciali e preservare la stabilità finanziaria impedendo che le tensioni sui mercati si ripercuotano sull’economia reale.

MISSILI RUSSI IN STAND-BY: WASHINGTON È PIÙ VICINA?

Qualsiasi accordo tra le parti, ad ogni modo, passa necessariamente prima dalla ricucitura dello strappo consumatosi a luglio dell’anno scorso, quando gli Stati Uniti espellono la Turchia dal programma aereo di difesa F35. La nota della Casa Bianca parla chiaro: “accettare gli S-400 mina l’impegno di tutti gli alleati Nato a prendere le distanze dai sistemi russi”.

A voler leggere tra le righe, segnali di riavvicinamento ce ne sono stati. L’aereo carico in pancia di aiuti sanitari che il 28 aprile si alza in volo dall’aeroporto militare di Etimesgut in direzione Stati Uniti d’America è certamente un cenno di distensione.

 

Di più difficile analisi il ritardo nell’attivazione del sistema missilistico pomo della discordia che avrebbe dovuto entrare in funzione entro Aprile e per cui il termine ultimo di scadenza scorre disatteso – ad onor del vero con una pandemia di mezzo. A supporto di questa tesi, una dichiarazione anonima all’agenzia Reuters di alti ufficiali turchi che assicura che “non c’è alcuna marcia indietro rispetto agli S-400, ma a causa del covid-19 il piano di attivazione sarà ritardato”.

Dove sarebbe facile ascrivere il ritardo a un disegno di riappacificazione, non si tiene debito conto delle sanzioni CAATSA (Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act) cui la Turchia andrebbe incontro in caso di dispiegamento del sistema di difesa aerea russo. In Iran gli effetti devastanti sull’economia di questo regime sanzionatorio hanno già mostrato tutta la loro potenza.

LE VIE DELLA DIPLOMAZIA

L’ultimo atto di questa vicenda va in scena il 30 Aprile, quando al tavolo virtuale di un meeting organizzato dal think tank “Atlantic Council” si siedono il portavoce del presidente Erdoǧan, İbrahim Kalın e l’inviato speciale per il Dipartimento di Stato americano per il conflitto in Siria e la lotta all’Isis, James Jeffrey.

 

Al netto di innegabili divergenze e sul conflitto in Siria e sull’attivazione degli S-400, sono emersi punti di contatto che avvicinano le parti. “Il cessate il fuoco nella provincia di Idlib tra Turchia e Russia si sta dimostrando all’altezza delle aspettative”, ha dichiarato Jeffrey. Gli Stati Uniti, ha aggiunto, “sono contenti che l’esercito siriano e i suoi alleati russi e iraniani siano stati arginati dall’intervento delle forze turche”.

Circa l’intesa raggiunta nel 2017 al processo di Astana tra Turchia, Russia e Iran sulla Siria – generalmente percepito dall’opinione pubblica come smacco turco ai desiderata statunitensi – Jeffrey ha evidenziato, pur scettico, l’importanza di avervi un partner Nato implicato.

Le distanze rimangono, dunque, ma in un articolo del Financial Times apparso il giorno dopo il meeting dell’Atlantic Council, l’ambasciatore statunitense ad Ankara, David Satterfield, ha scollegato le condizioni politiche dai requisiti finanziari e monetari necessari per l’accesso della Turchia a una linea swap con la Fed, aprendo di fatto un canale.

L’esito della partita non è ancora scritto. Secondo alcuni analisti attingere a valuta estera potrebbe persino ostacolare la risposta della Turchia alla pandemia, esponendola al rischio di dipendenza da finanziamenti esterni. In parallelo, il ritardo nell’attivazione del sistema di difesa aereo russo S-400 è una scelta di non facile interpretazione. Quel che è certo, è che il coronavirus concede alla Turchia più tempo per valutare la prossima mossa.

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