Molti sono gli Stati che hanno vietato l’ingresso agli italiani per contenere la diffusione
del coronavirus ma la Svizzera continua a tenere aperti i suoi principali confini. Per limitare il contagio, Il Canton Ticino chiude nove valichi di frontiera con l’Italia, in modo tale da incanalare l’afflusso dei frontalieri e avere un maggior controllo degli accessi. Questo, però, ha delle conseguenze inevitabili su coloro che ogni giorno devono attraversare il confine italo-svizzero. Noi abbiamo intervistato una
giovane dipendente italiana che dalla provincia milanese, si è trasferita a Como per poter raggiungere il suo posto di lavoro nei pressi di Lugano.
«Da casa, solitamente ci metto mezz’ora per andare a lavorare ma in questi giorni, il traffico sta bloccando tutto. La sera scorsa, per attraversare la dogana svizzera e
rientrare in Italia, ci ho messo cinque ore. Fino a Mendrisio non ho avuto problemi, poi per raggiungere il confine di Ponte Chiasso, la coda era interminabile», spiega la frontaliera.
Il direttore dell’AFD, Christian Bock, ha spiegato in una conferenza stampa che al confine con l’Italia vengono controllate le persone in entrata, chiedendo il motivo del loro viaggio in Svizzera. Se la trasferta è effettuata per ragioni non lavorative, alle persone viene suggerito di tornare in Italia. Non sussiste tuttavia alcun obbligo, poiché al momento manca una base legale.
«Gli svizzeri venivano rimandati indietro se non avevano ragioni valide per uscire dal loro Paese, mentre a noi italiani chiedevano il permesso di lavoro svizzero per rientrare nel nostro. Io ora ho l’incubo di andare a lavorare», aggiunge la lavoratrice italiana.
La paura che si respira in Italia, non sembra essere quella che si respira in Svizzera e le restrizioni obbligatorie che lo Stato Italiano ha imposto nei suoi territori, non sono le stesse della sua vicina di casa.
«Non si rendono conto del disagio che stanno creando. Dovrebbero chiudere tutti i confini e lasciare entrare solo chi lavora nella Sanità. Ho paura di essere contagiata perché ci fanno lavorare senza guanti né mascherine di protezione. Nel mio lavoro, sono a contatto con la gente e io non voglio ammalarmi – e continua -Molti frontalieri non dico nulla perché hanno paura di perdere il lavoro ma questa situazione non è più tollerabile. Se lo Stato svizzero dovesse chiudere le frontiere, ci sarebbe un crollo economico non indifferente e c’è chi sminuisce la gravità della situazione per non perderci. Non c’è nemmeno la regola della distanza di un metro. Tutto è aperto come se nulla fosse»., conclude.