Storica svolta in Sudan: il presidente Omar al-Bashir è stato destituito da un colpo di Stato militare. All’alba di martedì 11 aprile, dopo cinque giorni di incessanti proteste popolari, l’esercito ha circondato il palazzo presidenziale e arrestato il capo dello Stato, al potere addirittura dal 1989. Nel pomeriggio, dopo essere stato recluso «in un luogo sicuro», quello che è ormai considerabile l’ex leader di Khartoum ha diramato l’annuncio più atteso, rassegnando ufficialmente le proprie dimissioni.
Che ne sarà ora del Sudan? È ancora presto per dirlo. D’altronde, l’establishment di al-Bashir pare essere già stato smantellato del tutto. Secondo quanto riportano i media locali, infatti, a finire in manette sarebbero stati anche tutti i membri del governo, diversi esponenti di spicco del National Congress Party e le sue guardie del corpo. L’incarico di presidente ad interim sarebbe quindi stato affidato al vicepresidente Awad Ibn Auf, che negli ultimi giorni si era opposto all’uso della violenza nei confronti dei manifestanti. Non a caso è stato lo stesso Auf, in un messaggio letto in televisione, ad annunciare l’inizio di un periodo di transizione di «due anni» durante il quale a detenere il potere sarà un «consiglio militare». Questo, al fine di consentire in futuro «libere elezioni». Intanto, però, la Costituzione è stata sospesa.
Anche per questo, le migliaia di persone che si sono riversate nelle piazze della capitale per festeggiare la caduta del dittatore hanno deciso di effettuare un sit-in permanente di fronte al quartier generale delle forze armate: il timore è che, al di là delle dichiarazioni di facciata, possa instaurarsi un nuovo regime autoritario.
#Sudan: l’esultanza per le dimissioni del presidente #AlBashir è durata poco. L’esercito ha ripreso in mano il controllo del paese. Con il pugno di ferro#Africa #SudanCoup https://t.co/34CrotenM6 pic.twitter.com/YRHcwZ3hj7
— @nigrizia (@nigrizia) April 11, 2019
Si tratta, insomma, di ore estremamente delicate. Quel che è certo è che, dopo ben trent’anni di governo, è bastata solamente mezza giornata per destituire il dittatoriale al-Bashir. Ciò, tuttavia, sull’onda delle partecipatissime proteste svoltesi a Khartoum a partire dallo scorso dicembre. Le stesse alle quali il presidente, già condannato dall’Onu per crimini contro l’umanità, aveva risposto in maniera durissima, ordinando alle forze dell’ordine di reprimerle senza mezze misure. Risultato: 55 morti, 2.500 feriti e 2.000 arrestati. La speranza della popolazione è che il Paese abbia finalmente voltato pagina. Ad ogni modo, per comprendere la reale direzione in cui sta andando il Sudan occorrerà come minimo attendere gli sviluppi delle prossime settimane.
Il popolo del #Sudan alza la voce.
La bellissima foto con #AlaaSalah ci ricorda che oggi sono le donne a condurre la lotta contro le ingiustizie.
Le richieste di diritti e dignità di Alaa e milioni di sudanesi non dovranno essere tradite. pic.twitter.com/ti4PUoOKzd— Amnesty Italia (@amnestyitalia) April 11, 2019