Un’e-mail, un messaggio o una telefonata. Il modo è indifferente, l’importante è ricevere una risposta. Ancora oggi, sono migliaia gli italiani rimasti bloccati all’estero a causa dell’emergenza coronavirus. Tra loro c’è un denominatore comune: voler tornare a casa. Come riporta l’Associazione internazionale dei trasporti aerei (IATA), i voli cancellati sono oltre due milioni. Alcuni grandi aeroporti, come quello di Singapore, hanno applicato il divieto di ingresso e di transito a tutti i visitatori di passaggio. Così attraversare l’oceano diventa una chimera.
«Finalmente, stasera ripartiamo per Roma. Ci vengono a prendere, insieme a tutti gli italiani che sono qui». Dall’altra parte del telefono la voce rassicurante di Stefania Ricci parla con MasterX. «In questa situazione, cerco di vedere il lato positivo. Mi sembra di essere tornata ai tempi in cui giocavo a guardie e ladri: quando esco per cercare qualcosa da mangiare, controllo sempre che non ci sia la polizia». Stefania, insieme al fidanzato Roberto è bloccata a Goa. Sono partiti per l’India il 27 febbraio e sono tra i passeggeri a cui hanno cancellato il volo di ritorno.
«Saremmo dovuti andare a trovare dei nostri amici che vivono nel sud del Paese ma il nostro viaggio è stato stravolto», racconta. «In India hanno iniziato a reputare gli italiani persone pericolose. Così ci siamo messi a cercare luoghi in cui erano disposti ad accettarci». Per obbligo di quarantena, Stefania e Roberto non possono abbandonare la struttura che li ospita. Anche a Goa hanno chiuso i confini. «Appena arrivati all’aeroporto, siamo stati presi da dei militari. Ci hanno portati in ospedale per fare degli accertamenti».
«Eravamo sani, ci hanno rilasciati la sera stessa con l’obbligo di fare la quarantena», precisa. «Così ci siamo ritrovati di notte, noi due da soli, senza sapere dove andare. Abbiamo cercato un passaggio ma nessuno ci voleva portare: i taxi avevano il divieto di trasportare i turisti. Poi un buon uomo ci ha dato un passaggio e siamo andati in una struttura dove sapevamo che accettavano italiani». Ma in quella guesthouse Stefania e Roberto sono rimasti solo una notte. Sia la polizia che l’ospedale hanno contattato i proprietari della struttura per metterli al corrente della situazione.
«Siamo andati in un’altra guesthouse dove siamo rimasti per un po’ di giorni. Inizialmente ci avevano detto che ci avrebbero fatto soggiornare per tutto il periodo poi è arrivato il lockdown e hanno chiuso tutto», aggiunge. «Ci siamo trovati per strada, sentendoci parlare un centro yoga si è offerto di ospitarci: adesso siamo al sicuro ma fuori non c’è niente». I negozietti e i ristoranti sono chiusi. Molti circuiti bancari non funzionano. «Il bancomat è a quattro chilometri e mezzo da qui. Devi camminare a piedi sotto il sole e passare dai posti di blocco della polizia», continua Stefania. «C’è da rischiare ma bisogna prendere coraggio».
Dall’altra parte dell’oceano, altrettanti italiani stanno vivendo situazioni analoghe. Come Carlo Marcellini, originario di Termoli, in vacanza a Fortaleza insieme alla moglie e al figlio di sei anni. La loro partenza per il Brasile risale al 15 febbraio. Dovevano rientrare il 17 marzo ma anche il loro volo è stato cancellato. «Ci ha chiamato la TAP Air Portugal per decidere un’altra data. Inizialmente, dovevamo ripartire il 3 aprile, poi ci hanno spostato il volo al 5 di maggio. Bisogna rimanere a Fortaleza un altro mese”, racconta Carlo dall’altra lato del telefono.
«Mia moglie è brasiliana, stiamo vivendo a casa di mia suocera ma ci sono tanti altri italiani che non sanno dove andare», precisa. Innumerevoli le chiamate alla Farnesina e quelle al consolato di Fortaleza. «Nessuno ha fatto niente per farci tornare in Italia, dovremo andare all’aeroporto di San Paolo perché da lì c’è il collegamento con Alitalia ma siamo bloccati», spiega. Oltre 3000 chilometri separano Fortaleza da San Paolo. E raggiungere la metropoli in auto risulta loro impossibile perché non possono uscire dalla regione. Tutte le strade sono chiuse. I pochi voli con destinazione San Paolo hanno i prezzi alle stelle. «Per tre persone dovremmo pagare dai quattro ai cinque mila euro quando normalmente costerebbe 500-600 euro a persona», precisa. «Qui non ci sentiamo protetti, abbiamo paura per il bambino perché la sanità è quella che è. Ma ci siamo messi l’anima in pace e speriamo di ripartire il 5 maggio».
Anche in Australia, sono migliaia i turisti che aspettano di sapere quando potranno tornare a casa. I grandi aeroporti di transito come Hong Kong e Dubai hanno imposto il divieto di transito e raggiungere l’Europa è sempre più difficile. La pandemia chiude il mondo e allarga le distanze. «Il 24 marzo ero con la mia ragazza a Sydney, lei doveva tornare in Inghilterra, io in Italia poi ci hanno cancellato il volo», racconta a MasterX Lucio Veronesi, un ragazzo di Prato in vacanza a Sydney. Entrambi dovevano fare scalo a Dubai ma il giorno prima della partenza il governo degli Emirati Arabi Uniti ha imposto il divieto di transito e di accesso ai turisti.
Così hanno avvertito i rispettivi consolati e sono ripartiti dopo due giorni. Ma con soluzioni diverse. «La mia ragazza è salita a bordo di un volo mandato appositamente dal governo britannico per far rimpatriare gli inglesi», ammette Lucio, «Hanno fatto scalo a Singapore senza nemmeno scendere dall’aereo. Io invece ho dovuto comprare un altro volo. Qatar Airways era l’unica linea aerea che ancora permetteva agli stranieri di transitare per Doha», spiega. Dopo 24 ore di viaggio, Lucio è arrivato a Roma. Dalla capitale, ha poi fatto un altro tragitto in macchina fino a Prato, «27 ore per tornare a casa ma a me è andata bene!».