L’impeachment a carico di Donald Trump entra nella fase finale del suo secondo atto. Dopo l’approvazione della camera dello scorso 13 gennaio, in queste ore toccherà al Senato americano valutare le responsabilità dell’ex presidente repubblicano. Il capo d’accusa è “incitamento all’insurrezione”, in riferimento all’assalto a Capitol Hill dello scorso 6 gennaio.
Il quorum è ancora lontano
Donald Trump è l’unico presidente della storia americana ad essere stato sottoposto due volte alla procedura di impeachment. La prima, che si è tenuta nel febbraio del 2020, si è risolta nella sua assoluzione nonostante le accuse di “abuso di potere” e “ostruzione al congresso” in riferimento alle pressioni esercitate sul capo di governo ucraino Volodymyr Zelensky.
Anche questa volta le possibilità che l’ex presidente repubblicano possa essere condannato sono piuttosto remote. Per raggiungere la maggioranza al Senato, infatti, servirebbero i voti favorevoli non solo di tutti i democratici, ma anche di diciassette senatori del Partito Repubblicano, che difficilmente voteranno contro il proprio leader.
Il processo
Il processo inizierà oggi con un dibattito generale sulla costituzionalità delle accuse. I legali di Trump, infatti, sostengono che «non si può processare un presidente che ha già lasciato l’incarico». Tesi che in realtà viene respinta dalla maggioranza dei costituzionalisti americani e che con ogni probabilità verrà respinta anche dalla maggioranza semplice del Senato. Una volta dato il via al processo, i cosiddetti “manager dell’impeachment”, cioè i nove deputati nominati dalla speaker Nancy Pelosi, avranno sedici ore suddivise in due giorni per portare avanti la propria accusa. Dopodiché, toccherà alla difesa, che cercherà di argomentare come Trump non abbia incitato all’insurrezione, ma semplicemente «espresso un’opinione», contestando il risultato delle scorse elezioni presidenziali.
I Repubblicani a un bivio
Insomma, con ogni probabilità il Senato non avrà i voti sufficienti per ritenere Trump colpevole. Il voto dei prossimi giorni, però, fornirà un primo importante segnale sullo stato di salute del Partito Repubblicano, ancora diviso fra la linea estremista dell’ex presidente Trump e l’ala più moderata, che ad oggi rappresenta la minoranza del partito.