Il Brasile potrebbe essere diventato il centro dell’infiltrazione degli agenti russi in Occidente. È quanto sospettano gli inquirenti del Paese, dopo i numerosi elementi emersi e le frequenti segnalazioni degli ultimi mesi. Sono passati inosservati e si sono spostati in tutto il mondo. L’indagine cercherà ora di fare luce su quanti sono effettivamente gli agenti sotto copertura in Brasile e come hanno fatto a procurarsi i documenti di cittadinanza brasiliana.
Come fanno le spie russe a infiltrarsi?
È proprio come in un thriller. Serve una falsa identità, una doppia vita che non desti sospetti. È necessario avere un lavoro regolare, risorse autonome, fare gesti quotidiani simili a quelli di un padre o una madre di famiglia. Gli illegali – come vengono definiti in gergo gli infiltrati dalla doppia vita – devono vivere nella legalità, evitare errori, mantenere un basso profilo. Quando si parla di “leggende” nello spionaggio, non ci si riferisce infatti a grandi gesta, ma alle storie da comuni cittadini, che sono state scritte su misura per ciascuna spia. La leggenda fornisce una copertura credibile per la loro presenza e attività nel Paese di transito o di destinazione. L’obiettivo principale è entrare in Occidente.
Legami
Dietro a un plot da film, però, si nascondono furti di identità e cuori spezzati. Per creare una nuova identità credibile, le spie russe trascorrono anni nel processo di costruzione della loro copertura. Durante questo periodo, non solo cambiano nome, ma iniziano anche una nuova professione, modellano la propria personalità, instaurano relazioni sentimentali e di amicizia. Coppie, in cui entrambi i partner sono spie, si separano per non insospettire gli inquirenti. Si uniscono ad altre persone, ignare di tutto. Come Gerhard Daniel Campos, che si era infiltrato in Brasile, e la sua fidanzata Maria Tsalla, che fino a qualche mese fa stava in Grecia. Campos e Tsalla hanno ingannato anche le due persone con cui avevano iniziato una relazione, rispettivamente una ragazza brasiliana e un professore greco. Chissà se non sarebbero arrivati persino a sposarli se le autorità non li avessero scoperti. Sia Tsalla che Campos sono riusciti a scappare in Russia, lasciandosi alle spalle persone e amori.
Rubare ai morti
Maria Tsalla, era residente ad Atene e proprietaria di una maglieria. Il suo nome in realtà è Irina Smireva. Aveva rubato nome e cognome a una bambina deceduta subito dopo la nascita in Attica nel 1991.
Tra i file che gli inquirenti stanno esaminando c’è anche quello di Josè Assis Giammaria, nato nel 1984 in Brasile, da un padre di origine italiana che faceva l’imprenditore e una madre che lavorava a scuola. Che il vero Giammaria sia ancora vivo è improbabile. A girare con il suo nome per il Canada e poi in Norvegia, dove è stato fermato, era in realtà Mikhail Mikushin, un’altra spia russa.
Perché proprio il Brasile
Di storie come questa, accomunate da un periodo trascorso in Brasile, ce ne sono tante. Al punto che gli inquirenti ipotizzano che lo Stato sia diventato una sorta di hub degli illegali. Ma perché scegliere proprio il Brasile? Secondo alcuni membri dell’intelligence, il Paese rilascia troppo facilmente i documenti di identità e pecca nei controlli. Inoltre, gli agenti russi possono contare sul fatto che in Brasile dare seguito ai processi di estradizione è ancora molto raro. I database delle anagrafi, poi, non sono connessi ai registri biometrici del governo, per cui anche elementi apparentemente semplici, come le impronte digitali, non sempre possono aiutare a rivelare la vera identità di una persona.
Una volta acquisita o “rubata” la cittadinanza, le spie russe trascorrono del tempo in Brasile, lì lavorano e stabiliscono relazioni. Una tappa preparatoria per il successivo trasferimento nelle loro mete finali, in Europa o negli Stati Uniti. Scovare gli agenti russi sotto copertura non è quindi una sfida solo per il Brasile, ma richiede una stretta cooperazione tra le intelligence di tutto il mondo.