I primi bombardamenti dell’operazione militare della Turchia in Siria sono stati compiuti lo scorso 9 ottobre contro la città di Ras Al-Ain, sul confine tra i due paesi. Sono seguiti attacchi in tutta la zona a nord est del Paese e in serata il Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha annunciato l’inizio dell’invasione. Questa operazione ha preso il nome di “Sorgente di pace” e ha come obiettivo il creare una zona cuscinetto per trasferire lì le centinaia di migliaia di profughi siriani e quindi allontanare il popolo dei curdi dal confine con la Turchia.
Chi sono i Curdi?
Si tratta del quarto gruppo etnico più grande del Medio Oriente. La loro popolazione è di circa 35 milioni di persone ma non hanno mai avuto uno Stato nazionale indipendente. E’ distribuita tra Turchia, Siria, Iraq, Iran e Armenia, precisamente nell’altopiano del Kurdistan, dove si trovano i confini di questi Paesi. Alcune comunità curde si trovano anche in Europa, specialmente in Germania.
Dalla sconfitta dell’Impero ottomano e dalla fine della prima guerra mondiale i tentativi dei curdi di ottenere uno Stato permanente sono sempre stati repressi, diventando quindi delle minoranze nei vari Paesi. Sono uniti da razza, cultura e lingua ma ogni gruppo nazionale si differenzia per priorità e alleanze: i curdi iracheni hanno conquistato una regione autonoma all’interno dell’Iraq, i curdi siriani di recente hanno ottenuto il controllo della regione Rojava. Questi e i curdi turchi, che insieme hanno combattuto contro l’Isis, hanno attirato l’attenzione di Erdoğan.
La battaglia contro l’Isis
Il governo dei territori curdi è assicurato dalla milizia Ypg (Unità di Protezione Popolare) che durante la battaglia contro lo Stato islamico ha ricevuto il supporto degli Stati Uniti, che hanno individuato i curdi siriani come loro alleati. Nel 2015 i combattenti curdi con il sostegno americano sono riusciti a riconquistare i propri territori, occupati dall’Isis, e anche a espandersi in altre aree. Negli anni seguenti hanno rafforzato il controllo, contribuendo notevolmente alla sconfitta finale del gruppo islamico. La causa curda ha suscitato forte interesse in Occidente, soprattutto per l’ideologia espressa dal movimento. Infatti nelle loro comunità le donne hanno gli stessi diritti degli uomini ed esistono anche delle milizie composte da donne, come l’Ypj (Unità di protezione delle donne) che combattono spesso a capo scoperto, così come hanno fatto contro gli estremisti islamici.
L’offensiva da parte della Turchia ha avuto inizio a causa della sintonia tra il governo dei territori curdi e il Pkk (Partito del Lavoratori del Kurdistan), un’organizzazione paramilitare sostenuta dalle masse e ritenuta da Ankara un’associazione terroristica. Tanto che il leader del partito Abudllah Öcalan si trova in carcere in Turchia dal 1990. Oggi i curdi siriani si sentono abbandonati proprio dal mondo occidentale che aveva promesso loro sostegno e stima negli ultimi anni.
La sera del 6 ottobre il Presidente americano Donald Trump ha annunciato un cambio di strategia nell’alleanza con la Siria molto importante: i soldati statunitensi a nord est del Paese si sono ritirati. Un annuncio inaspettato che arriva dopo anni di colazione e che nello scenario attuale è considerato un tradimento nei confronti della popolazione curda.
Le truppe turche, almeno cinquemila uomini posizionati al confine, hanno poi rimosso i blocchi di cemento alla frontiera per far passare i carri armati, sono stati inviati raid aerei sopra Ras Al-Ain, puntando le postazioni delle milizie curde, e la città di Tal Abyad è stata bombardata. Dopo alcune ore il Ministero della Difesa turco ha annunciato il via libera all’offensiva via terra, l’esercito turco è entrato in Siria. I curdi da parte loro hanno risposto con colpi di mortaio contro le zone turche di Nusaybin e di Ceylanpinar.
Poco dopo l’annuncio di Ankara è arrivato quello da parte delle Forze democratiche siriane (Fds), alleati del popolo curdo, sostenendo di aver respinto l’attacco terrestre fino al confine settentrionale della Siria. «L’attacco a terra da parte delle forze turche è stato respinto dai nostri combattenti nella regione di Tal Abyad», ha dichiarato il portavoce Mustefa Bali, su Twitter. Di risposta la Turchia sostiene di aver colpito 181 postazioni di coloro che sono considerati terroristi.
Il 12 ottobre, al quarto giorno di bombardamenti continui, Ankara ha rivendicato il controllo della zona residenziale di Ras Al-Ain, una delle principali roccaforti dello scontro. Ma alla notizia le autorità curde avrebbero risposto che la città si trova ancora sotto il loro controllo.
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«Se l’unione Europea ci condanna di invasione della Siria od ostacolerà la nostra operazione militare, apriremo le porte a oltre 3 milioni e 600 mila rifugiati e li manderemo da voi».
Il premier turco Erdoğan si rivolge così a Bruxelles, minacciando l’Europa intera di lasciare liberi i profughi siriani fuggiti durante la guerra civile e attualmente ospitati proprio in Turchia. Al mondo intero ha fatto sapere invece che l’operazione militare in corso permetterà di eliminare l’Isis in quella regione. Ma la condanna internazionale contro Ankara è stata unanime.
Stando alle informazioni derivanti dal popolo curdo, i raid aerei avrebbero già provocato la morte di diversi civili nei villaggi frontalieri, dove si è scatenato il panico generale e migliaia di persone sono in fuga. Intanto la ong Osservatorio siriano dei diritti umani cerca di parla di almeno 15 morti, tra cui 8 civili, uccisi nella città siriana Qamishli. Nella mattina dell’11 ottobre è arrivata la notizia da parte del governo di Ankara della morte del primo soldato turco dall’inizio delle operazioni. La difesa curda avrebbe causato la morte di due civili, tra cui un bambino di appena nove mesi. Altri sei civili siriani sono stati uccisi da miliziani filo-turchi nel nord-est della Paese; almeno altri 10 civili sono stati invece uccisi dai bombardamenti.
Un’autobomba è invece esplosa nei pressi di una prigione dove sono detenuti militanti dell’Isis. Sul posto sono accorse le Fds e per evitare la fuga dei detenuti. Il loro portavoce Mustefa Bali ha attribuito la responsabilità dell’attacco proprio allo Stato islamico, che aveva già colpito ieri con un’autobomba a Qamishli, provocando la morte di tre civili.
Le forze turche hanno inoltre bombardato erroneamente uomini delle forze speciali americane presenti nell’area, una compagnia formata da 50 a 100 uomini che stavano operando sulla collina di Mashtenour nella città di Kobane. Il Pentagono ha confermato che non ci sono state vittime.
Il 13 ottobre arriva inoltre la notizia dell’omicidio di Hevrin Khalaf, segretario generale del Partito Futuro siriano e una delle più note e apprezzate attiviste per i diritti delle donne nel Paese. Si batteva per una pacifica convivenza fra curdi, cristiano-siriaci e arabi. Non è ancora chiaro se sia stata vittima di un una coalizione di terroristi dell’Isis, riattivato a seguito dell’operazione turca lungo la frontiera, oppure di un gruppo di jihadisti inviati dallo stesso Erdoğan.
La reazione del resto del mondo
Trump ha immediatamente ribadito il disimpegno statunitense da queste “stupide guerre” e di non aver dato il via libera all’offensiva turca. Ha sottolineato inoltre che se il governo turco non agirà secondo le regole e gli impegni presi, il Paese sarà duramente colpita da sanzioni economiche. L’obiettivo è congelare i beni in Usa dei più alti dirigenti turchi, compreso il presidente Erdoğan e i suoi ministri degli esteri, della difesa, delle finanze, del commercio e dell’energia.
Caduti nel vuoto anche gli appelli arrivati ad Ankara da parte Russia e Iran, i due paesi geograficamente più vicini alla Turchia.
Proprio il presidente russo Vladimir Putin ha invitato Erdoğan a “non compromettere gli sforzi congiunti per risolvere la crisi siriana” e si è proposto come mediatore tra i due paesi. Ritiene che questa offensiva possa ridare slancio ai miliziani dell’Isis: «Arriva l’esercito turco, i curdi abbandonano questi campi, i combattenti possono semplicemente fuggire in tutte le direzioni. Non so quanto velocemente la Turchia può arrivare a controllare questa situazione, una minaccia reale per tutti noi. Dove andranno? Passeranno dal territorio turco o da altre zone?». Il presidente iraniano Hassan Rohani ha invece consigliato di “risolvere le legittime preoccupazioni sui curdi affidandosi a Bashar al Assad.
Forte preoccupazione per “iniziative che possono portare ad un’ulteriore destabilizzazione della regione”è stata espressa anche dal premier italiano Giuseppe Conte. Le parole del ministro degli Esteri Luigi Di Maio: «Azioni unilaterali rischiano solo di pregiudicare i risultati raggiunti nella lotta contro la minaccia terroristica, a cui l’Italia ha dato un significativo contributo nell’ambito della Coalizione anti-Isis, e destabilizzare la situazione sul terreno». Ha disposto inoltre la convocazione dell’ambasciatore della Turchia alla Farnesina.
L’Arabia Saudita condanna l’operazione militare turca in Siria, definendola una “aggressione”. Jean Claude Juncker, come portavoce dell’UE, ha minacciato di tagliare i finanziamenti alla Turchia. Anche la Francia ha condannato fermamente l’offensiva contro i curdi e insieme a Germania, Gran Bretagna, Polonia e Belgio ha chiesto urgentemente l’intervento del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, riunito l’11 ottobre al Palazzo di Vetro di New York.
Il 13 ottobre, all’alba del quinto giorno, arriva la notizia del blocco europeo per qualsiasi progetto di esportazione di materiale da guerra: Olanda, Norvegia e Finlandia, Germania e Francia hanno dichiarato ufficialmente lo stop alla vendita di armi alla Turchia. Nel 2018 le esportazioni tedesche ad Ankara ammontavano a 243 milioni di euro, ovvero un terzo del totale delle esportazioni di armi.
«Questi ragazzi chiedono lo stop alle armi alla Turchia: hanno ragione, lo diciamo anche noi» sono le parole del vicepremier Luigi Di Maio nel corso del suo intervento interrotto da un blitz dei centri sociali a Napoli per chiedere lo stop anche da parte dell’Italia.