Vecchie e nuove forme di schiavizzazione

schiavitù

Nel 2018, il Global Slavery Index, un’organizzazione che si occupa di indicizzare paese per paese il numero delle persone schiavizzate, ha stimato circa 145mila lavoratori/lavoratrici in condizione di neo-schiavitù in Italia, di cui 50mila nel settore agricolo e molte altre migliaia nella prostituzione forzata e nel lavoro domestico.

Uno speciale report dell’ONU sulla schiavitù odierna, uscito nello stesso anno, ha riportato che 400mila lavoratori agricoli in Italia sono a rischio sfruttamento, e circa 100mila sono forzati a vivere in condizioni disumane.

Sono le persone di origine migrante ad essere più vulnerabili allo sfruttamento, spiega infatti al Guardian nel 2019 Yvan Sagnet, attivista camerunense in lotta per l’abolizione del neo-schiavismo ed ex lavoratore agricolo in Puglia. «Questa vulnerabilità è uno stato tanto mentale quanto fisico. Quando sei stato schiavizzato, quella condizione ti resta in testa e cominci a ragionare diversamente».

Secondo Sagnet, a differenza della schiavitù dei secoli scorsi, in cui veniva privata la libertà dell’individuo, «la schiavitù del 21esimo secolo non ha bisogno di catene, perché viene sfruttato il continuo senso di intimidazione e inferiorità che provano gran parte delle persone vulnerabili, in primis i migranti africani/afro-discendenti».

Jakub Sobik, della ONG inglese Anti-Slavery International, conferma che i fattori su cui si fonda la schiavitù moderna sono molto specifici: vulnerabilità, discriminazione sistemica e assenza di uno stato di diritto. L’agricoltura italiana soffre di tutte e tre le condizioni, in particolare l’ultima. La totale mancanza dello stato di diritto nel settore agricolo italiano fa sì che i suoi lavoratori, in prevalenza senza documenti, ricadano al di fuori della legge e perciò non possano ambire ad alcuna protezione.

Il 25 marzo di ogni anno ricorre la Giornata internazionale in ricordo delle vittime delle schiavizzazione della tratta transatlantica, istituita dall’ONU nel 2007. Con il fine di onorare la memoria di tutte le persone uccise dalla tratta transatlantica e dal sistema schiavista insediato nei territori delle ex colonie europee, nel corso di oltre 400 anni, la giornata è anche un momento di riflessione sull’eredità contemporanea della tratta schiavista transatlantica, in termini di razzismo strutturale e neo-schiavismo.

Storia della schiavizzazione di un continente

La violenza razziale combattuta oggi su scala mondiale, specie quella rivolta alle persone nere/di origine africana, è il risultato diretto della tratta transatlantica introdotta con il colonialismo europeo. Durante gli anni delle “esplorazioni” verso i “nuovi mondi”— dall’inizio del 15esimo secolo—gran parte dei paesi europei crearono vere e proprie rotte oceaniche di compravendita e trasporto di merce. Queste rotte si estendevano tra Africa, Asia e Americhe, e costituirono le fondamenta dell’egemonia imperiale e commerciale dell’Europa già alla fine 15esimo secolo. Il commercio non era solo di metalli preziosi, spezie o tessuti, ma anche—e soprattutto—esseri umani. 

Per tratta transatlantica degli schiavi si intende la rotta triangolare tra Europa, Africa Occidentale e le Americhe, che ha costituito il sistema altamente redditizio su cui gran parte della ricchezza europea si è fondata—in particolare quella inglese, olandese, spagnola e portoghese.

La Rivoluzione Haitiana (1791-1804), incisione su legno.
La tratta transatlantica

L’oceano Atlantico, tra il 1501 e il 1830, ha visto circa 17 milioni di persone, tra uomini, donne e bambini, sequestrate dai territori dell’Africa Occidentale, trasportate come merce in navi e destinate alla schiavitù nelle colonie di Nord, Centro e Sudamerica. Schiavizzazione e tratta transatlantica divennero dunque la base del modello economico, politico e sociale di colonizzazione europea verso le Americhe. L’Europa tende a considerare il periodo di espansione coloniale come una sua sorta di diaspora, mentre perlopiù ne è stata una africana. 

«L’allora nuova tratta transatlantica di schiavi, ha trasformato la popolazione africana in oggetti, visti e venduti come beni materiali da e per gli europei», ha dichiarato Gilbert Ndi Shang del gruppo di ricerca Africa Multiple dell’Università di Bayreuth, in Germania. 

Le persone schiavizzate venivano vendute il più velocemente possibile. Milioni di africani sono stati forzati a lavorare in piantagioni, miniere di proprietà europea, o come lavoratrici/lavoratori domestici in tutto il continente americano, compresi i Caraibi. Circa 2,4 milioni di persone sono morte durante i trasporti transoceanici e altrettanti all’arrivo a destinazione. Nel 1807 la Gran Bretagna ha approvato la prima legge di abolizione della tratta schiavista, seguita, nel 1815, da Olanda, Francia, Spagna e Portogallo. Nel 1820 anche gli Stati Uniti introdussero la pena di morte per tratta di schiavi.

Onorare le vittime e i sopravvissuti alla schiavizzazione

Queste deportazioni di massa e la successiva schiavizzazione della popolazione africana sono considerate tra le più atroci violazioni dei diritti umani, considerando anche gli effetti sull’odierno piano sociale ed economico nei territori soggetti a tali violenze.

Oggi un enorme numero di persone di discendenza africana vivono in tutto il continente americano, così come in Europa. La loro cultura è profondamente insita nella storia dei rispettivi paesi e le loro memorie hanno urgenza di essere onorate. Se è vero che le vittime della schiavitù meritano molto più di un giorno di celebrazione, questa data è ancora un tassello importante per onorare chi è insorto—e continua a insorgere—contro i suoi prodotti.

Neo-schiavismo in Italia

In un paese dove Matteo Salvini, durante un summit dell’UE nel 2018 a Vienna, ha dichiarato che l’Italia non ha «l’esigenza di avere nuovi schiavi per soppiantare i figli che non fa più», è evidente che la schiavitù è ancora ben lontana dall’essere stata abolita.

Le attuali forme di schiavitù non sono solo perversioni metaforiche del capitalismo del 21esimo secolo, ma il risultato della sua logica in cui il profitto viene prima di tutto. «A meno che non contrasti il potere enorme delle multinazionali in questione» sostiene Sagnet, «sarà difficile risolvere il problema delle condizioni di lavoro delle nuove persone schiavizzate, nel settore agricolo italiano. Il caporalato e la schiavitù moderna sono gli effetti di questo sistema e non la loro causa: stiamo parlando dell’effetto di un ultraliberalismo applicato all’agricoltura».

Da una parte le vittime, dall’altra i beneficiari: non solo multinazionali, ma supermercati e infine i singoli consumatori. La schiavizzazione dei lavoratori migranti nel sud Italia non è un segreto per nessuno. Nel 2016 è stato messo sotto processo il caporalato, ma nessun provvedimento giudiziario è stato realmente attivato. In un report recente di FLAI-CGIL è emerso che oggi ci sono circa 100mila lavoratori, prevalentemente migranti, in condizioni di sfruttamento lavorativo, estorsione e degrado abitativo.

Sonia Maura Garcia

Sonia M. Garcia, peruviana nata in Italia e stabile a Milano, è dj, giornalista, contributor per diverse riviste, tra cui VICE, Noisey, i-D, Flash Art, Zero, Norient, e founder della piattaforma SAYRI. Le sue ricerche indagano le nozioni di appartenenza, identità, colonialità e memoria, con un approccio anti-egemonico. SAYRI è una piattaforma e format di eventi incentrata su arti ed esperienze di donne e dissidenze affettive o di genere, provenienti dall’America Latina e dalla sua diaspora.

No Comments Yet

Leave a Reply