
«Oggi impongo sanzioni alla relatrice speciale del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, Francesca Albanese». Inizia così il post pubblicato su X dal Segretario di Stato americano Marco Rubio, che accusa la giurista italiana di aver iniziato una «campagna politica ed economica contro gli Stati Uniti e Israele». E afferma «non sarà più tollerata». La reazione arriva dopo la presentazione da parte di Albanese di un rapporto in cui elenca le aziende internazionali – molte delle quali americane – incolpate di trarre profitto dall’occupazione israeliana.
Today I am imposing sanctions on UN Human Rights Council Special Rapporteur Francesca Albanese for her illegitimate and shameful efforts to prompt @IntlCrimCourt action against U.S. and Israeli officials, companies, and executives.
Albanese’s campaign of political and economic…
— Secretary Marco Rubio (@SecRubio) July 9, 2025
Il rapporto
Albanese da tempo critica gli abusi compiuti nei territori palestinesi. Lo scorso 30 giugno, in occasione della 59ª sessione del Consiglio dei Diritti Umani, ha presentato un rapporto dal titolo Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio, che indaga «il meccanismo aziendale che sostiene il progetto coloniale israeliano di insediamento, caratterizzato dallo spostamento e dalla sostituzione della popolazione palestinese nei territori occupati». L’obiettivo era individuare le imprese che hanno approfittato del conflitto in Medioriente «dell’occupazione illegale, dell’apartheid e, ora, del genocidio» del popolo palestinese per aumentare le proprie entrate. Con il proposito finale di spingerle a «cessare urgentemente tutte le attività commerciali e porre fine alle relazioni direttamente legate».
Un lavoro che richiede tempo e accuratezza. Per questo la relatrice speciale Onu per i territori palestinesi ha analizzato nel dettaglio ogni singolo caso, anche da sotto l’aspetto legale. Sono 48 le aziende risultate non conformi con il diritto internazionale «che si traduce in violazione del diritto di autodeterminazione, altre violazioni dei diritti umani e persino crimini di guerra o crimini contro l’umanità» ha affermato Albanese. E ha sottolineato che «solo un piccolo numero» di queste si è impegnato con lei in buona fede, mentre il resto ha negato le loro azioni illecite.
48 aziende incriminate
Sono le imprese belliche ad aver tratto il maggior numero di profitti dallo scoppio del conflitto a oggi. Francesca Albanese, nel suo rapporto, parla di bilanci da record. La Striscia si è dimostrata il luogo perfetto per poter «testare» i nuovi ordigni bellici. La produzione di armi, infatti, è aumentata in maniera esponenziale. Strumenti sempre più all’avanguardia che uniti a droni letali e sistemi radar, hanno permesso di «scagliare 85.000 tonnellate di esplosivi – sei volte la potenza di Hiroshima – per distruggere Gaza».
A queste aziende si uniscono poi le banche. Tra tutte si distingue BNP Paribas, interessata in investimenti in bond israeliani e istituzioni legate all’occupazione. Investimenti che hanno portato a un aumento dei guadagni del 213% sulla Borsa di Tel Aviv dall’ottobre 2023. Nell’elenco non mancano i giganti dell’energia e istituzioni accademiche. Ma anche le aziende tecnologiche, dove emergono i colossi americani: Microsoft, Amazon, Google. Dall’inizio della guerra forniscono cloud e danno accesso a software basati sull’intelligenza artificiale, al fine di migliorare i sistemi di sorveglianza e gli strumenti di targeting.
Le reazioni

I risultati del rapporto hanno scatenato l’indignazione dell’amministrazione Trump. Già lo scorso 3 luglio aveva formalmente presentato al segretario generale dell’Onu, António Guterres, la richiesta di rimozione immediata di Francesca Albanese dal suo ruolo alle Nazioni Unite. L’accusa era di aver «fomentato l’antisemitismo, espresso sostegno al terrorismo e disprezzo per gli Stati Uniti e Israele». La richiesta non era stata accettata. Ma questo non ha fermato Marco Rubio dall’imporre nuove sanzioni contro la relatrice, senza fornire alcun dettaglio. Per il momento, è probabile che Albanese non potrà entrare negli Stati Uniti e che i suoi eventuali beni nel paese saranno sequestrati.
Ancora nessuna dichiarazione ufficiale da parte della giurista italiana. Ma a un giornalista di Al Jazeera, tramite messaggio ha espresso la sua opinione: «tecniche di intimidazione in stile mafioso». Intanto per Albanese è stata avviata la procedura per la candidatura al premio Nobel, perché si è distinta come «prima voce degli orrori contro il popolo palestinese». E al centro della proposta c’è proprio il suo ultimo rapporto.