Sono passati sette lunghi mesi da quel 20 novembre 2018 in cui Silvia Romano, giovane volontaria per Africa Milele, è stata rapita a Chakama, in Kenya. Da mesi non si hanno più notizie certe. Le autorità locali tacciono, a loro dire, per non compromettere le indagini. Ma da alcune settimane Massimo Alberizzi, giornalista per Il Fatto Quotidiano e direttore del quotidiano online Africa ExPress, ha lanciato una raccolta fondi indirizzata ai suoi lettori per realizzare un’inchiesta sostenuta proprio dalla testata.
Il 21 giugno scorso Alberizzi ha pubblicato un articolo resoconto del lavoro svolto fino a quel momento, sostenendo di aver scoperto che Silvia l’11 novembre 2018, esattamente nove giorni prima di sparire, si è recata alla sede della polizia locale per denunciare Francis Kalama, un pastore anglicano, con l’accusa di abusi su minori e pedofilia. In un messaggio vocale su Whatsapp la ragazza afferma inoltre di aver ricevuto promessa di un futuro arresto nei confronti dell’uomo e di controlli medici sulle bambine coinvolte. Dell’uomo sono state perse le tracce e dagli archivi della polizia non risulta nessuna notifica di denuncia a suo nome.
Il giornalista ha inoltre raccolto diverse testimonianze che riguardano Davide Ciarrapica, volontario e fondatore di Orphan’s Dreams Onlus, con cui Silvia ha lavorato in una precedente esperienza sempre in Kenya. Stando alle dichiarazioni di diversi colleghi e di alcuni genitori di bambini che frequentavano il suo centro, si evince che Davide abbia un carattere particolarmente irascibile e che la gestione dei soldi all’interno della sua Onlus non sia del tutto a norma. Di questo Silvia ne era venuta a conoscenza e ne aveva parlato tramite email o tramite social networks con alcune amiche.
Pochi giorni dopo il ragazzo ha risposto alle accuse mosse a suo carico, affermando che la documentazione riguardo la sua struttura è a disposizione di tutti. Nega il suo coinvolgimento e aggiunge che le informazioni raccolte dal corrispondente sul suo conto non hanno avuto adeguata verifica.
Massimo Alberizzi sostiene, come si può verificare anche dalle testimonianze video e audio pubblicate sul suo sito, che la fonte principali delle sue indagini è la polizia keniota: «ho incontrato l’agente che ha interrogato sia Davide che il suo socio, Rama Hamisi Bindo. Mi ha confermato che il padre di quest’ultimo è un politico influente sul territorio e che quindi il figlio gode di “protezioni potenti”, tanto che durante gli eventi di raccolta fondi organizzati dalla Onlus erano spesso presenti alti capi delle forze dell’ordine. Davide era solito ubriacarsi a queste feste, proprio con le risorse economiche dell’associazione».
Il reporter ha inoltre visionato i documenti inerenti all’interrogatorio di Davide, che avrebbe dichiarato di aver messo Silvia in guardia e di averle sconsigliato di lavorare per Africa Milele nel villaggio di Chakama. «Un’affermazione contrastante rispetto a quanto testimoniato da alcune amiche di Silvia – tramite email che la ragazza inviava loro – da cui risulta invece che fu proprio lui a raccomandarla ai responsabili dell’associazione».
Anche Hillary Duenas, la collega americana che ha collaborato con Massimo Alberizzi alle indagini, sostiene forti sospetti riguardo Davide Ciarrapica. Lo ha incontrato quando si è recata alla sede della sua Onlus chiedendo informazioni per lavorare lì. «Mi ha presentato la sua fidanzata, una ragazza che – a quanto mi ha detto una signora che mi aiutava nella traduzione della lingua e che lavora nella struttura – aveva 17 anni. Penso sia ambiguo che un uomo italiano di 31 anni che si trova in Kenya per aiutare i bambini che ne hanno bisogno, abbia una relazione con una ragazza minorenne del luogo». Conferma inoltre la sua vicinanza alle autorità locali, grazie alle conoscenze del socio in affari Rama Hamisi Bindo, e aggiunge: «Non sarei sorpresa se si scoprisse che è coinvolto nella sparizione di Silvia. Non so in che modo potrebbe esserlo, ma è evidente che nella sua Onlus ci sia un alto tasso di corruzione e per questo dovrebbe essere un sospettato. Ma non è mai stato ritenuto tale, la polizia non ha mai indagato su di lui, a malapena lo ha interrogato».
Sul lungo e inquietante silenzio che caratterizza le indagini sulle ricerche di Silvia, Alberizzi chiarisce: «C’è un pressappochismo generale e lo dimostra la mancata autorizzazione alle forze dell’ordine italiane di collaborare. Inizialmente la polizia keniota seguiva la pista del riscatto, ma da quando tre sequestratori sono in carcere, stanno seguendo una pista per trovarne un quarto e nessuno si è ancora fatto vivo dopo tanti mesi, l’ipotesi è stata abbandonata. Alla luce delle nuove scoperte si ritiene che Silvia possa essere stata rapita per tapparle la bocca su quanto aveva scoperto riguardo i casi di pedofilia».
Francis Kalama, l’uomo che la cooperante avrebbe segnalato alle autorità, è un personaggio molto influente specialmente nel villaggio di Marafa, a diversi chilometri di distanza da Chakama ma «la polizia keniota è molto corrotta ed è probabile che chi ha interesse a insabbiare questa pista si sia comprato i suoi favori – spiega Alberizzi – Non so se per superficialità, inesperienza nelle indagini o per corruzione, ma è un mistero perché negli archivi della polizia non si trovi nessuna notifica di denuncia a nome di Kalama, nonostante Silvia dica nel messaggio vocale di averlo rilasciato ad una poliziotta. O perché i documenti della ragazza sono spariti dall’aeroporto di Mombasa quando si sa per certo che è passata da lì tre volte. O ancora perché nessun inquirente è andato a interrogare il proprietario dell’albergo dove ha alloggiato la notte del 5 novembre, poco prima di sparire».