Il Papa, dopo essersi recato in Myanmar, è volato in Bangladesh. Qui, tra misure di sicurezza senza precedenti e un’eguale attesa da parte della piccola comunità cristiana del Paese, continuava ad aleggiare, scomoda ma persistenze, la questione dei rohingya. Francesco, che in Birmania non aveva fatto cenno alla popolazione originaria dello stato del Rakhine, nel paese bengalese si è tolto qualche sfizio, pur non nominando mai la population fatale. Nel primo discorso alle autorità nel palazzo presidenziale del Bangladesh, ha affrontato subito due questioni decisive: si è appellato alla comunità internazionale per la crisi dei rohingya, invocando la collaborazione tra le religioni contro il fondamentalismo che le usa per creare divisioni.
Come nel Myanmar, il Papa non nomina i “rohingya” per non alimentare polemiche e cercare al contrario una soluzione alla tragedia del popolo dello stato del Rakhine, che negli ultimi mesi ha subito la durissima repressione che ha portato alla fuga 600.000 persone tra le quali ci sarebbero almeno 2.000 morti. Le sue parole però sono chiarissime: «Nei mesi scorsi, lo spirito di generosità e di solidarietà che caratterizza la società del Bangladesh si è manifestato molto chiaramente nel suo slancio umanitario a favore dei rifugiati affluiti in massa dallo Stato di Rakhine, provvedendoli di un riparo temporaneo e delle necessità primarie per la vita». Francesco ha elogiato il sacrificio che il governo del Bangladesh sta sostenendo per occuparsi di questo fiume in piena di persone che si dirigono verso il confine, sottolineando la necessità di ricordare a quale sofferenza sono stati sottoposti i rohingya negli ultimi mesi.
The most holy name of God can never be invoked to justify hatred and violence against other human beings.
— Pope Francis (@Pontifex) November 30, 2017
Secondo il Papa è necessario l’intervento internazionale, con aiuti materiali e assistenza diplomatica per far sì che la situazione nel Rakhine venga normalizzata. Alla fine, a rompere il silenzio e a nominare i rohingya ci ha pensato direttamente Abdul Hamid, il presidente del Bangladesh. La parola impronunciabile era ampiamente attesa nella giornata di oggi visto che il premier bengalese si trova per le mani 600.000 profughi ai quali deve provvedere ogni giorno. Il primo ministro ospitante ha ringraziato Francesco per la «sua molto lodevole posizione in favore dei rohingya perseguitati e la sua appassionata voce contro tale brutalità». E ha aggiunto: «Questo dà speranza per la soluzione della crisi. La sua vicinanza, la richiesta di aiutarli e di assicurare loro pieni diritti, dà alla comunità internazionale la responsabilità di agire con prontezza e sincerità». MM