È durato 23 minuti il colloquio privato tra il Papa e il ministro degli Esteri e Consigliere diplomatico del Myanmar, Aung San Suu Kyii, nella sala del Corpo diplomatico del palazzo presidenziale della capitale Nay Pyi Taw. Un incontro blindato, raccontato dai diretti interessati nella conferenza stampa che ha fatto immediatamente seguito.
Il Papa ha detto ad autorità e Corpo diplomatico del Paese che «il futuro della Birmania deve essere la pace, una pace fondata sul rispetto della dignità e dei diritti di ogni membro della società, sul rispetto di ogni gruppo etnico e della sua identità, sul rispetto dello stato di diritto e di un ordine democratico che consenta a ciascun individuo e ad ogni gruppo, nessuno escluso, di offrire il suo legittimo contributo al bene comune. L’arduo processo di costruzione della pace e della riconciliazione nazionale – ha proseguito Francesco – può avanzare solo attraverso l’impegno per la giustizia e il rispetto dei diritti umani. La giustizia – ha concluso – è volontà di riconoscere a ciascuno ciò che gli è dovuto», e queste intuizioni hanno portato a creare l’Onu e a concepire la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
Aung San Suu Kyi ha affermato che l’incontro con il Papa «rimarca la nostra fiducia nel potere e nella possibilità di pace» includendo il Papa tra quei “buoni amici” il cui “sostegno allo sforzo di pacificazione” ha un valore “inestimabile”. Per la leader birmana la crisi dei musulmani del Rakhine si è trasformata in un grande problema, tanto che secondo alcuni osservatori negli attacchi dell’agosto scorso a postazioni militari del Rakhine ci sarebbe il disegno destabilizzante proprio dei militari, contro l’esponente della maggioranza democratica e la sua opera di integrazione delle minoranze.
La leader democratica ha ricordato di aver iniziato gli studi in una scuola cattolica, quella dei francescani, e ha ringraziato per il contributo della Chiesa alla storia e in prospettiva al futuro del Paese.