Con la bandiera nazionale tra le mani e un lieve sorriso, Evo Morales sale a bordo di un aereo per lasciare il Paese. Ha deciso di partire: il presidente dimissionario andrá in esilio politico in Messico per «ragioni umanitarie». Dopo quasi 14 anni al potere, l’ex capo di Stato boliviano abbandona La Paz. Eppure Morales poteva contare con l’appoggio delle Forze Armate. Poi tutto è cambiato quando l’organo che controlla il regolare svolgimento delle elezioni ha constatato irregolarità nei risultati dello spoglio delle elezioni dello scorso 20 ottobre. Ancora brogli, corruzione.
La situazione politica del Paese diventa così insostenibile. Morales dichiara infatti di sentirsi vittima di un vero golpe. Ma non si scoraggia. «Sorelle e fratelli, parto per il Messico. Mi ferisce lasciare il Paese per ragioni politiche, ma sarò sempre vigile. Presto tornerò con più forza ed energia», scrive su Twitter. Stando a quanto riferito dai mezzi locali, il velivolo su cui sta viaggiando l’ex presidente ha dovuto fare uno scalo in Paraguay per non disporre dell’autorizzazione per volare sul cielo peruviano. Anche se, la Direzione Nazionale di Aeronautica Civile (Dinac) non ha emesso nessun comunicato a riguardo.
Intanto, il caos domina le strade del Paese andino. Le dimissioni di massa all’esecutivo degli uomini di Morales lasciano vuote alcune cariche del governo. In Bolivia non c’è più un capo della polizia e l’Esercito ha preso il controllo. Il generale William Kaliman ha dato l’ordine ai suoi uomini di intervenire per «evitare sangue e lutti». Nella capitale si sono registrati numerosi episodi di violenza che obbligano i civili a rinchiudersi in casa. Diventa difficile fermare le rivolte: i sostenitori di Morales non mostrano segni di cedimento. «Il leone si è svegliato», scrivono nei social network i simpatizzanti del presidente dimissionario.
Stazioni ferroviarie e caserme della polizia asfaltate, incendi appiccati, cori di protesta per le strade. Adesso l’obiettivo degli oppositori è uno: assaltare il Palazzo. In migliaia si sono radunati attorno ai quartieri ricchi della capitale per danneggiare gli edifici con bastoni, pali e vanghe. L’esercito interviene, ancora.