New York. Sono le 21 e 20 e Francesco Paolo Calì sta rientrando in casa sua a Staten Island, in Todt Hill. All’improvviso sbuca un pick up blu, una Hilltop Terrace, e un uomo estrae una pistola e gli spara; quando la polizia arriva, trova le donne della sua famiglia piangere sul suo corpo, disperandosi. Frank Calì morirà in ospedale due ore dopo. È stato crivellato con sei colpi al petto e poi travolto dallo stesso furgone, come in un classico agguato in stile mafioso. Non si tratta di una esecuzione in pieno stile hollywoodiano scritta da Mario Puzo: Frank Calì infatti non è un uomo come tanti. FrankyBoy, come era solito farsi chiamare, era un enfant prodige di Cosa Nostra americana, il capoclan della famiglia Gambino, una delle cinque famiglie mafiose italoamericane più influenti e pericolose di New York, insieme ai Genovese, Colombo, Bonanno e Lucchese. Per intenderci, alla figura del capostipite della famiglia Gambino, Carlo, si ispirò Puzo nei suoi libri per delineare il profilo di Don Vito Corleone.
Calì era l’anello di congiunzione tra l’Italia e l’America. FrankyBoy aveva contatti con Nicola Mandalà e Nicola Notaro della Famiglia di Villabate, Giovanni Nicchi della Famiglia di Pagliarelli, Vincenzo Brusca della Famiglia di Torretta, uno degli organizzatori della strage di Capaci, in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, sua moglie e la scorta. Teneva rapporti anche con alcuni membri della ‘Ndrangheta di Siderno.
Come paravento Calì svolgeva un lavoro parallelo: era l’amministratore di una società di import export di frutta. Nato a New York da genitori palermitani, Calì ha profonde radici nella mafia siciliana e sua moglie è la nipote del boss italoamericano Giovanni “John” Gambino. Anche suo fratello Joseph e il cognato Peter Inzerillo fanno parte della cosca.
Calì era diventato il boss dei Gambino nel 2015 e fino al 2008, quando venne arrestato insieme ad altri 62 affiliati all’interno di un’operazione della polizia americana e italiana, non si conosceva nemmeno il suo volto: veniva considerato come un uomo misterioso in quanto non c’erano sue foto e lo si sentiva solo nominare al telefono in alcune intercettazioni. Tutto ciò lo fece ritenere un boss invisibile dalle autorità anticrimine organizzato. Talmente invisibile che era diventato sempre più potente negli ultimi anni, grazie ai suoi rapporti con le famiglie siciliane. Proprio grazie ai rapporti con la sua terra d’origine, Calì avrebbe scalato il clan alla vetta. Prese il posto del sessantatreenne Domenico Cefalù, l’erede di Peter Gotti, il figlio di quel John Gotti che tanto fece parlare di sé per il suo attaccamento allo stile e all’eleganza italiana.
Qualcuno potrebbe averlo eliminato proprio per questo, secondo le prime ipotesi. Il suo omicidio potrebbe essere inquadrato in una lotta intestina ai vertici dei Gambino. D’altronde, l’ultimo omicidio di stampo mafioso di rilievo a New York risale al 1985, quando John Gotti uccise Paul Castellano davanti al Sparks Steak House, per prenderne il posto come capofamiglia del clan Gambino. Da stanotte probabilmente gli ingranaggi della macchina di Cosa Nostra hanno ricominciato a girare. Proprio ieri Joseph Cammarano Jr., a capo della famiglia Bonanno rivale dei Gambino, aveva festeggiato la chiusura del processo a suo carico con un proscioglimento. Una settimana fa, inoltre, Carmine J. Persice si era spento in galera, lasciando scoperto il vertice del clan Colombo.