Sono passati quasi 16 anni dal giorno in cui Angela Merkel venne nominata Cancelliera della Germania e tenne il suo giuramento. 16 anni, 4 governi riconfermati, la Grande Recessione americana del 2006 che poi andò ovviamente a influenzare anche quella europea del 2011. Ondate migratorie, terrorismo, green deal e ora la pandemia con tutto quello che si è portata con sé: MES, Recovery Fund, vaccini e restrizioni. Così, dopo aver contribuito lei stessa alla realizzazione dell’Europa come noi la intendiamo, sorge spontanea la domanda: “L’eredità che lascia è positiva o negativa?”
Indubbiamente il posto vacante non sarà facile da riempire e, al momento, nel dietro le quinte della politica tedesca, non c’è nessuno pronto a sostituirla.
La leader, soprattutto nell’ultimo anno, ha ottenuto il favore dell’opinione pubblica e a fare la sua parte è stato anche lo schieramento in prima linea nella lotta al covid-19.
I sondaggi realizzati nella scorsa estate da Pew Research Center, il think tank statunitense che fornisce informazioni su problemi sociali e opinione pubblica, ha dimostrato infatti la popolarità di Angela Merkel leader di un partito invece assolutamente impopolare, quello dei Democristiani di Germania.
Percentuale da record rispetto agli ultimi 15 anni di sondaggi. Nella maggior parte dei paesi dell’Unione Europea infatti è stato approvato il modo in cui l’UE ha gestito la pandemia e l’approvazione risulta più alta proprio in Germania e Paesi Bassi.
Ma, come la sua storia di politica insegna, quello di Angela Merkel non è sempre stato un governo rose e fiori: la leader più amata infatti è arrivata anche al punto di farsi odiare. Al termine della prima ondata l’indice di fiducia nella gestione della crisi superava il 70% ma la seconda ondata, quella autunnale, ha profondamente cambiato l’opinione pubblica tedesca. La maggioranza (il 46%) infatti si pronunciava insoddisfatta di come l’esecutivo stesse affrontando la crisi dovuta al coronavirus. Certo, nonostante gli ingenti aiuti economici mandati ai paesi più poveri per sostenere il piano Covax (prima 600 milioni di euro poi 1,5 miliardi), a pesare sulla sfiducia crescente sono stati soprattutto il ritardo nelle vaccinazioni e, di conseguenza, il mancato rilassamento delle restrizioni.
Non solo luci quindi nei 16 anni al governo della Cancelliera tedesca. Fatto discusso e divisivo è stato senza dubbio quello legato al Patto di stabilità, un insieme di regole comunitarie create per assicurare che i Paesi dell’Unione europea abbiano una situazione finanziaria stabile e coordinino le loro politiche economiche. Nel corso degli anni successivi all’adozione il Patto è stato più volte modificato con l’aggiunta di nuove norme contenute nel “Fiscal compact”. Ulteriori istanze di riforma, nel senso di sospendere il diritto di voto dei paesi che non rispettino i propri obblighi di bilancio, sono state manifestate in particolare dalla Germania, in occasione degli aiuti stanziati dai paesi dell’Eurozona per la grave crisi finanziaria della Grecia nel maggio 2010. L’ex presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, in un’intervista al quotidiano economico tedesco Handelsblatt (il 2 maggio 2019), ha dichiarato che: “loro stessi hanno violato il Patto di stabilità 18 volte”. Secondo i dati Eurostat, per quanto riguarda il rapporto deficit/Pil, la Germania ha superato il tetto del 3% in sette occasioni: nel 2001 (3,1%), nel 2002 (3,9%), nel 2003 (4,2%), nel 2004 (3,7%), nel 2005 (3,4%), nel 2009 (3,2%) e nel 2010 (4,2%). Per quanto riguarda il rapporto debito/Pil, la Germania lo ha superato costantemente dal 2003 fino al 2018, inclusi. Dunque, per sedici volte.
Tra le macchie di questi 16 anni non può essere trascurato neanche il grande esodo di quelle centinaia di migranti che, con lo zaino in spalla, si erano diretti verso una nuova terra promessa che sembrava aver spalancato le sue porte nel 2015. “Ce la possiamo fare” era stato infatti il motto-mantra ripetuto in più occasioni dalla stessa cancelliera e oggi, a distanza di 6 anni dall’inizio ci si chiede se veramente la Germania ce l’abbia fatta: un report dell’Istituto federale per la ricerca del lavoro stima che solo il 49% dei rifugiati arrivati nel 2015 ha ottenuto un impiego e non è difficile immaginare su che cosa abbiano ripiegato tutti gli altri: la criminalità. Nonostante i numeri lascino sì intravedere un processo di integrazione nella società, la situazione ancora non convince un tedesco su due (secondo quanto riportato dal quotidiano tedesco Augsburger Allgmeine)
Dal punto di vista economico però Merkel ha giocato, e sta tutt’oggi giocando, un ruolo fondamentale nei negoziati per il Recovery Fund. La cancelliera infatti è stata soggetto chiave per far superare il veto di Polonia e Ungheria e far sì che l’accordo fosse siglato da tutti i 27 Paesi membri.
L’ennesimo successo quindi per la leader tedesca che nonostante alcune ombre lascerà senza dubbio un vuoto di potere difficile da colmare sia dal punto di vista nazionale che dal punto di vista comunitario.