«Il governo è pronto a prendere tutte le misure necessarie, comprese leggi più severe sulle armi. Le licenze non devono essere a tempo indeterminato». È il messaggio lanciato dal primo ministro australiano Anthony Albanese dopo l’attentato di Bondi Beach, una delle spiagge più famose e frequentate di Sydney. L’attacco del 14 dicembre ha provocato 15 morti e oltre 40 feriti. E i responsabili sono stati identificati dai media come Sajid Akram, 50 anni, e il figlio Naveed, 24. Secondo la polizia, Akram era titolare di un regolare porto d’armi e possedeva sei armi da fuoco legalmente registrate. La tragedia ha riaperto quindi il dibattito sulla necessità di leggi più restrittive, nonostante l’Australia abbia già una delle normative più rigide al mondo.
La riforma dopo Port Arthur
L’attuale sistema normativo risale al 1996, dopo la strage di Port Arthur in Tasmania, in cui hanno perso la vita 35 persone. Da quel momento il possesso di armi da fuoco ha cessato di essere un diritto ed è diventato un privilegio soggetto a requisiti stringenti. La legge ha vietato l’importazione, la vendita e l’uso di numerosi modelli, tra cui fucili semiautomatici e a pompa. Lo Stato ha avviato un programma di riacquisto che ha portato al ritiro di circa 650 mila armi in un anno. Le autorità hanno introdotto registri nazionali e un sistema di licenze basato su categorie, imponendo l’obbligo di dimostrare una valida ragione per il possesso, come l’uso professionale, la caccia o l’appartenenza a un club di tiro. E hanno escluso la legittima difesa dalle motivazioni ammesse.

Licenze, controlli e limiti: le regole introdotte
Le leggi riviste hanno in seguito stabilito che per ottenere una licenza è necessario il superamento di un test di idoneità e la frequenza obbligatoria di corsi sulla sicurezza delle armi da fuoco. La registrazione è diventata poi individuale e, oltre a rilasciare la licenza per possedere un’arma da fuoco, le autorità hanno previsto un permesso separato per ogni acquisto, concesso solo dopo un periodo di attesa di 28 giorni per effettuare controlli sull’acquirente. Il governo ha vietato la vendita tra privati e ha limitato la vendita di munizioni alle armi autorizzate. Nel tempo le istituzioni hanno promosso anche amnistie per la consegna di armi non registrate senza conseguenze penali.
Le misure introdotte dopo il 1996 hanno prodotto effetti significativi. Le sparatorie di massa sono diventate eventi rari e i dati mostrano una riduzione degli omicidi e dei suicidi legati alle armi da fuoco. Allo stesso tempo però oggi in Australia si contano oltre 4 milioni di armi legalmente detenute da civili, circa il 25% in più rispetto al 1996.
Norme diverse tra stati
Nonostante l’impianto rigoroso, le regole non sono identiche in tutti gli stati australiani e nel tempo alcune modifiche sono state giudicate più permissive. Così la sparatoria di Bondi Beach ha riportato l’attenzione sulla mancanza di limiti effettivi al numero di armi detenibili e sulla frammentazione delle norme tra i diversi stati per cui alcune tipologie di armi sono illegali in un luogo ma non in un altro. Sajid Akram risultava infatti titolare da circa dieci anni di licenze di categoria A e B ed era intestatario di sei armi.
Secondo Roland Browne, vicepresidente di Gun Control Australia, la sparatoria di Bondi Beach ha mostrato una «grave carenza nel processo di valutazione». «Perché qualcuno abbia bisogno di sei armi da fuoco alla periferia di Sydney resta un mistero», ha dichiarato. L’obiettivo del 1996 infatti «era far sì che ogni tiratore dimostrasse una buona ragione per ogni arma, rendendo più difficile ottenere l’autorizzazione per una seconda e per le successive». Una regola che sembra essere caduta completamente visto che le persone «nei sobborghi di Sydney o Melbourne o in qualsiasi altro posto in Australia possono possedere un numero illimitato di armi».