Una densa nube di fumo si alza dalla sede del Parlamento, dove centinaia di manifestanti hanno fatto irruzione, spaccando finestre, distruggendo mobili e dando fuoco a un’ala dell’edificio. All’esterno, decine di migliaia di persone – soprattutto giovani – sfilano per le strade di Nairobi come in quelle di Mombasa e di altre città del Kenya, cantando slogan, sventolando bandiere e invocando le dimissioni del presidente. Sono i «sette giorni di rabbia» contro la nuova legge finanziaria, che aumenta le tasse sul pane, sull’olio da cucina e su altri beni di prima necessità. Una legge che mira a ridurre l’elevatissimo debito pubblico e che il 25 giugno i legislatori si apprestavano a votare, prima che l’onda dei manifestanti li costringesse a fuggire dall’edificio. Dopo qualche ora la polizia è riuscita a disperdere la folla, sparando proiettili e lacrimogeni e causando la morte di almeno 13 persone.
Il contestato aumento della tassazione
La scintilla che ha fatto deflagrare i disordini è la nuova riforma fiscale, approvata dalla maggioranza il 20 giugno, in seconda lettura, e sottoposta a nuova votazione cinque giorni dopo. La legge provocherà un aumento delle tasse sui beni di prima necessità, come pane e olio da cucina, nonché su veicoli a motore, benzina e transazioni finanziarie. La misura colpirà anche M-Pesa, il sistema di mobile-banking di cui il Kenya è stato pioniere e che trova larga diffusione in tutto il Paese, persino nelle baraccopoli.
Il governo di William Ruto giudica necessario tale disegno di legge, per contrastare la crescita vertiginosa del debito pubblico e per rispettare gli accordi presi con creditori come il Fondo monetario internazionale. Il debito del Kenya ha infatti raggiunto gli 80 miliardi di dollari, una cifra che corrisponde a circa il 70% del Prodotto interno lordo. Nel 2023 i pagamenti sul debito hanno toccato quota 5 miliardi di dollari, assorbendo il 37% delle entrate annuali del Paese. Di qui, per il governo, la necessità di una riforma fiscale, con l’obiettivo di raccogliere 2.7 miliardi di dollari per ridurre il peso del debito e finanziare i programmi di spesa.
Disordini e violenze
Già negli scorsi giorni erano scoppiate proteste in circa 30 delle 47 contee del Paese, tanto che il governo aveva annunciato emendamenti d’urgenza per eliminare dalla manovra le misure più controverse, a partire dall’imposta del 16% sul pane. Ma per molti kenyoti non era abbastanza. E così, il 25 giugno, mentre i parlamentari si apprestavano ad approvare il testo, centinaia di migliaia di manifestanti sono scesi a protestare in diverse città del Paese. E a Nairobi, uno spezzone di un corteo cominciato in modo pacifico ha sfondato il cordone di sbarramento della polizia, dirigendosi all’interno del Parlamento. I legislatori sono stati evacuati in ambulanza o attraverso i tunnel sotterranei, mentre le forze dell’ordine rispondevano sparando sulla folla lacrimogeni, cannoni ad acqua e colpi d’arma da fuoco. Il gas ha travolto anche la giornalista e attivista Auma Obama, sorellastra dell’ex presidente degli Stati Uniti.
Negli scontri con la polizia sono morti almeno 13 manifestanti, secondo le cifre diffuse dalla Kenya Medical Association. A questi si aggiungono 50 persone arrestate e – denuncia Amnesty International – altre 20 «rapite o scomparse per mano di agenti in uniforme e non». Dopo le elezioni del 2017 gli scontri causarono oltre cento morti, nel 2007 addirittura mille. Ma nessuno aveva mai invaso e dato alle fiamme l’edificio del Parlamento. E non si è trattata peraltro dell’unica irruzione della giornata: i dimostranti hanno assaltato anche l’ufficio del governatore di Nairobi, Johnson Sakaja, e la sede di Alleanza democratica unita, il partito del presidente William Ruto.
Nuovo protagonismo giovanile
La protesta è cominciata nelle baraccopoli di Nairobi, da cui migliaia di kenyoti sono partiti in direzione del distretto finanziario. Durante il tragitto, la folla si è via via allargata, anche in virtù degli appelli diffusi sui social network, dove sono diventati virali hashtag come #RejectFinanceBill2024 e #OccupyParliament. I dimostranti sono soprattutto giovani, e molti di loro avevano votato e supportato il leader, eletto nel 2022 con la promessa di difendere i poveri e creare posti di lavoro. In un Kenya abituato a scontri e proteste la novità sta proprio qui, nei protagonisti della contestazione: non l’opposizione politica, ma i comuni cittadini. Molti sono Millennials, molti altri appartengono alla Generazione Z, che comprende i nati dopo il 1997. Una fetta della popolazione – i giovani – che riveste un’importanza sempre maggiore in termini demografici: i kenyoti fra i 18 e i 35 anni costituiscono infatti il 40% dell’elettorato.
Tale gruppo sociale risulta peraltro sempre più istruito – molti sono diplomati, laureati e hanno studiato all’estero – e sempre più collegato con il mondo – l’accesso alle nuove tecnologie copre il 70% del territorio. Ecco, i giovani kenyoti – istruiti e iper-connessi – sono scesi in piazza, ancora privi di una leadership ben definita, per esprimere la loro insoddisfazione per le promesse mai realizzate da Ruto. Sulle loro spalle portano il peso delle difficoltà economiche e del degrado ambientale. In un Paese attraversato da crisi persistenti – dalla pandemia alla guerra in Ucraina – e dal deprezzamento della valuta, dal carovita, dalla siccità e infine dalle alluvioni, che a maggio hanno causato 250 morti e 150 mila sfollati.
Timori e repressione
I disordini hanno fatto crescere il timore di una destabilizzazione del Kenya, uno Stato chiave per gli equilibri e la sicurezza regionale, peraltro appena elevato da Washington al rango di «maggiore alleato non Nato». Le ambasciate di 13 Paesi – tra cui Stati Uniti, Regno Unito, Germania e Canada – hanno invitato alla calma: «Come amici e partner del Kenya, ricordiamo che la Costituzione garantisce il diritto alla protesta pacifica. Tutti gli attori hanno la responsabilità di rispettare i principi della democrazia, garantendo una risposta di sicurezza proporzionata». Ma il governo non sembra aver prestato ascolto.
Il presidente ha infatti annunciato la mobilitazione dell’esercito, per aiutare la polizia a ripristinare l’ordine. Bloccato anche l’utilizzo di Internet, che in questi giorni è servito per organizzare le proteste, prima che l’accesso venisse ripristinato durante la notte. Mentre in serata, in diretta tv, Ruto ha sottolineato come le proteste siano state «infiltrate e dirottate dalla criminalità organizzata», accusando i manifestanti di tradimento. E assicurando che «tutte le risorse disponibili saranno impiegate per reprimere in modo fermo la violenza e l’anarchia». I manifestanti, nel frattempo, promettono nuove proteste per la giornata del 27 giugno. Molto dipenderà dalla decisione di Ruto: manca ancora la firma del presidente perché la legge entri definitivamente in vigore. Se ciò dovesse accadere, i disordini e le violenze continuerebbero inevitabilmente ad aumentare.