Novantaseiesimo giorno di guerra tra Israele e Hamas. Prosegue l’attacco Israeliano ai vertici di Hezbollah, l’ultimo target è stato Ali Hussein Barji, comandante della forze aree nel sud del Libano. Nel frattempo, cresce il divario di opinioni con gli Stati Uniti. Blinken chiede più discrezione per evitare danni ai civili e l’allargamento del conflitto. Netanyahu rimane fermo sulla stabilizzazione dei fronti nord e sud, ma accetta l’ingresso dell’Onu a Gaza per gli aiuti umanitari. Sullo sfondo, il Mar Rosso e i ribelli Houthi che continuano a mantenere alta la tensione nella regione.
Il faccia a faccia Blinken-Netanyahu
Il viaggio mediorientale di Antony Blinken si è concluso con un incontro con Benjamin Netanyahu e il gabinetto di guerra israeliano. Un meeting lungo e teso, come definito dall’emittente Channel 12, in cui è emerso il divario di opinioni sul proseguimento della guerra. L’inviato speciale di Biden ha sottolineato la necessità di evitare un allargamento del conflitto e «ulteriori danni ai civili». L’amministrazione americana si trova infatti in difficoltà nel supportare lo storico alleato. Le mosse di Tel Aviv, soprattutto la caccia ai leader di Hezbollah e le perdite civili nella Striscia, imbarazzano e mettono in difficoltà Washington che sta cercando in tutti i modi di far ragionare Netanyahu e di far calare la tensione.
La reazione dei rappresentati israeliani è stata dura. Ben Gvir, Ministro della Sicurezza Nazionale dello Stato Ebraico, ha risposto a Blinken citando Theodore Roosevelt: «Segretario, non è il tempo di parlare dolcemente con Hamas, è tempo di usare il grosso bastone». Mentre il Ministro del Gabinetto di Guerra Benny Gantz ha ribadito che Israele è impegnato a portare a termine il compito a sud, contro Hamas, e a determinare un cambiamento nel nord, contro Hezbollah, per consentire il ritorno dei residenti fuggiti in seguito ai lanci di missili e droni.
Nonostante gli scontri, il supporto degli USA a Israele non è però in discussione. Come dichiarato da Blinken su X, gli USA hanno «riconfermato il loro sostegno al diritto di Israele di impedire che accada un altro 7 ottobre» ma hanno anche sottolineato la necessità di tutelare civili e infrastrutture umanitarie. E Israele ha risposto positivamente, dichiarando che permetterà alle Nazioni Unite di visitare la zona nord della Striscia di Gaza per iniziare le operazioni umanitarie. Un primo segnale di volontà nel far diminuire la tensione
Il rischio del fronte libanese e la minaccia nel Mar Rosso
La de-escalation auspicata da Washington sembra però ancora lontana. E il rischio di un allargamento del conflitto con il Libano resta sempre attuale. Dopo l’uccisione di due leader di Hezbollah negli scorsi giorni, Israele ha portato a termine un terzo attacco all’élite delle milizie libanesi. Si tratta di Ali Hussein Barji, comandante delle forze aree di Hezbollah e responsabile delle operazioni con i droni lanciate contro lo Stato Ebraico nel corso della guerra. Di risposta, Hezbollah ha già iniziato ad aumentare i propri sforzi e, per la prima volta dall’inizio del conflitto, ha attaccato una base militare israeliana con dei droni kamikaze.
Anche il Mar Rosso resta teatro di tensione. Durante la mattina del 10 gennaio, le forze navali americane e inglesi hanno intercettato ventuno tra droni e missili lanciati contro navi commerciali dagli Houthi, le milizie filoiraniane in Yemen. Il ministro della difesa inglese Grant Shapps ha dichiarato che si tratta dell’attacco più massiccio lanciato dal gruppo ribelle e che l’intervento è stato necessario per evitare un effetto domino in grado di innescare un conflitto regionale. Se il Mar Rosso non viene protetto, ha dichiarato, «rischierebbe di incoraggiare altri gruppi che hanno lo stesso obiettivo altrove». Tradotto: altri gruppi potrebbero seguire le orme degli Houthi nel Mar Cinese Meridionale e in Crimea.
A cura di Ettore Saladini