Il ministro del gabinetto di guerra israeliano Benny Gantz ha annunciato che se non verranno liberati gli ostaggi entro l’inizio del Ramadan, Tsahal (l’esercito israeliano) avvierà l’offensiva di terra contro Rafah proprio nel primo giorno del mese sacro dell’Islam, il 10 marzo.
Nel frattempo, il giornale saudita Elaph, ha scritto che Yahya Sinwar, leader di Hamas nella Striscia e ricercato n° 1 da Israele, sarebbe riuscito a fuggire in Egitto. Il puro, così soprannominato, avrebbe portato con sé alcuni ostaggi usati come scudo. Nessuna conferma da Tel Aviv. Anzi, all’intelligence ebraica sembra molto improbabile la fuga.
La religione come arma
Nel conflitto arabo-israeliano la religione è da sempre un’arma come un’altra. Nel 1973, Israele fu colto di sorpresa dagli eserciti di Egitto e Siria durante la festa di Yom Kippur, quando tutti i fedeli sono tenuti al digiuno e alla preghiera per ventiquattro ore. Cinquanta anni dopo, il 7 ottobre 2023, l’offensiva delle brigate al-Qassam di Hamas è stata lanciata durante il giorno conclusivo di Sukkoth, la festa ebraica delle capanne.
Ora, però, l’ultimatum israeliano sul Ramadan preoccupa gli alleati. Il presidente USA Joe Biden ha avvertito Netanyahu, dichiarando che un’offensiva via terra sarebbe catastrofica da un punto di vista umanitario e impensabile senza un piano di supporto e corridoi umanitari per i civili. Per Bibi però è indispensabile. Anzi, bloccare l’avanzata delle Israel Defense Forces (IDF) significherebbe condannare Israele alla sconfitta.
Rafah, al confine tra Gaza e l’Egitto, è infatti l’ultimo baluardo di Hamas nell’enclave palestinese, ma è anche il luogo dove circa 1.5 milioni di gazawi si sono rifugiati per sfuggire ai raid e ai bombardamenti israeliani. Fin dall’inizio della guerra, i civili sono stati spinti progressivamente verso sud lungo la strada Salah-al-Din, l’arteria che collega tutti gli insediamenti della Striscia. Ma Rafah è il capolinea, non si può tornare indietro e neanche proseguire. I profughi sono in trappola, stretti da un lato dalle forze israeliane e dall’altro dai militanti di Hamas arroccati nella città.
L’avvio dell’offensiva di terra durante il Ramadan, oltre a esasperare la situazione umanitaria, potrebbe infiammare il fronte interno israeliano. Il mese sacro dell’Islam è storicamente un momento di tensione alta in Israele. L’unione dei dettami religiosi della festa con le frizioni politiche provoca da sempre scontri in Cisgiordania, a Gerusalemme, nelle città arabe in Galilea e numerosi attentati terroristici in tutto lo Stato.
Il Monte del Tempio e l’accesso degli arabi-israeliani
A complicare il quadro, è arrivata la decisione di Netanyahu di accettare la proposta del ministro della Sicurezza Nazionale israeliano Ben-Gvir di limitare l’ingresso degli arabi-israeliani al Monte del Tempio durante il Ramadan. Una scelta presa ignorando la posizione dei servizi segreti interni (Shin Bet), fermamente convinti che getterà solamente benzina sul fuoco.
Il Monte del Tempio, chiamato dai musulmani Spianata delle Moschee, è infatti uno dei cardini dello status quo del conflitto arabo israeliano. È un complesso religioso che sorge su un’altura nella Città Vecchia di Gerusalemme. Sacro per gli ebrei perché costruito sulle macerie dell’antico Tempio di Salomone. Sacro per i musulmani perché ospita la roccia dalla quale Maometto sarebbe asceso al cielo e il terzo luogo più importante dell’Islam, la moschea di Al-Aqsa. Il complesso è sotto giurisdizione israeliana, ma l’amministrazione è affidata al fondo religioso Islamico (Waqf) che ha come garante la Giordania. L’accordo di gestione prevede la visita, in orari non di preghiera, per ebrei e cristiani. Mentre solo i musulmani possono pregare al suo interno e visitare le moschee.
È proprio da qui che partì la scintilla della seconda Intifada nei primi anni 2000. Quando l’allora leader del Likud Ariel Sharon passeggiò in segno di sfida sulla Spianata. Atto ripetuto anche da Ben Gvir nel gennaio 2023, quando il ministro si fece scortare all’interno del sito dalle forze dell’ordine. Oppure, quando nell’aprile dello stesso anno, alcuni fedeli musulmani si barricarono dentro Al-Aqsa per rispondere a un possibile sacrificio per la Pasqua ebraica nel complesso religioso.
La religione usata come arma, dunque. Per esasperare o per sorprendere il nemico in un momento di debolezza. Con il rischio di venirne travolti a propria volta.