Israele attacca l’Iran: raid sui siti nucleari di Teheran

È guerra tra Iran e Israele. Nella notte tra il 12 e il 13 giugno, Tel Aviv ha lanciato un attacco sui siti di arricchimento dell’uranio iraniani. L’operazione, denominata Rising Lion, ha centrato anche abitazioni civili a Teheran. Secondo fonti della Repubblica Islamica, sono stati uccisi il capo di stato maggiore e il comandante delle guardie rivoluzionarie, oltre ad almeno sei scienziati nucleari.

L’operazione Rising Lion

Stando a quanto comunicato dalle autorità iraniane, i primi raid dell’operazione Rising Lion –condotti con caccia, missili balistici e droni – hanno preso di mira una serie di strutture che, secondo Israele, sono depositi di armi e postazioni militari legate ai programmi missilistici.

Le autorità israeliane hanno descritto l’operazione come un «attacco preventivo». Alla base della decisione di Benjamin Netanyahu di bombardare i siti di arricchimento dell’uranio c’è la convinzione che la Repubblica Islamica sia prossima ad acquisire un’arma nucleare. Secondo il primo ministro israeliano, in questi mesi Teheran avrebbe accumulato uranio sufficiente «per costruire almeno nove bombe nucleari e dispone già dei missili per lanciarle».

A riguardo, giovedì 12 giugno, il Consiglio dei governatori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) ha adottato una risoluzione che condanna l’Iran per il «mancato rispetto» dei suoi obblighi nucleari. Teheran, ovviamente, ha negato l’accusa, dichiarando di aver alimentato l’urania per soli fini civili.


Israele e la Dottrina Begin

La sicurezza israeliana si poggia da tempo sulla cosiddetta Dottrina Begin, una regola di ferro secondo la quale lo Stato Ebraico si riserva il diritto di attaccare preventivamente  le infrastrutture per lo sviluppo nucleare degli altri paesi mediorientali prima che possano dare vita a armi di distruzione di massa. Tradotto, Israele deve mantenere la superiorità militare nella regione, ne va della sua esistenza.

Il nome della dottrina militare si deve al primo ministro israeliano Menachem Begin. Membro del Likud (lo stesso partito di Benjamin Netanyahu) è stato al vertice dello Stato Ebraico tra il 1977 e il 1983.

Nel 1981, Begin diede avvio all’Operazione Babilonia: una serie di raid mirati con cui le Israel Defense Forces (IDF) distrussero il reattore nucleare di Osirak, in Iraq. Una scelta fatta proprio per prevenire che Baghdad, all’epoca sotto il dominio di Saddam Hussein, potesse sviluppare l’arma atomica e, secondo le alte sfere, essere in grado di perpetrare, almeno ipoteticamente, un nuovo Olocausto.

Nessuno stato escluso. Nel 2007 a riaffermare la dottrina è stato il premier Ehud Olmert, membro dell’allora neonato e oggi disciolto partito Kadima, nato con l’unione tra alcuni ex-membri del Likud e del Partito Laburista in seguito alla scissione di Ariel Sharon. Israele questa volta attaccò i reattori nucleari siriani Deir ez-Zor, 450 chilometri a nord di Damasco. L’operazione rimase segreta per più di dieci anni. Solamente nel 2018 l’esercito ha desecretato i documenti militari che provavano la paternità israeliana dell’attacco.

Oggi, Netanyahu ha fatto lo stesso: «Il nostro attacco ha colpito il cuore del programma di arricchimento nucleare dell’Iran e i suoi sforzi per sviluppare un’arma nucleare. Andremo avanti per giorni, fin quando necessario».

Alessandro Dowlatshahi

Classe 1998, ho conseguito la Laurea Magistrale in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Milano, chiudendo il mio percorso accademico con un lavoro di ricerca tesi a Santiago del Cile. Le mie radici si dividono tra l’Iran e l’Italia; il tronco si sta elevando nella periferia meneghina; seguo con una penna in mano il diramarsi delle fronde, alla ricerca di tracce umane in giro per il mondo.

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