Il Pakistan boicotterà la Francia per le vignette di Charlie Hebdo

Entro i prossimi due o tre mesi il Pakistan espellerà l’ambasciatore francese. È questo l’accordo firmato in questi giorni di fine novembre tra il governo del Paese e i leader del movimento fondamentalista islamico Tehreek-i-Labbaikh. “Non nominerà un suo ambasciatore in Francia e boicotterà tutti i prodotti francesi”, continua l’accordo. Contemporaneamente un grande sit-in ha frenato il Paese islamico protestando contro l’esecutivo francese. Una decisione giunta dopo l’intenzione del Governo di Macron di proseguire con la pubblicazione delle vignette sul profeta Maometto. Caricature che negli ultimi anni hanno acceso nuovi dibattiti sulla libertà di stampa, parola e pensiero, soprattutto dopo i vari attacchi terroristici che ne sono seguiti.

Charlie Hebdo: i primi attentati

Nel 2006 il giornale satirico pubblica tra le sue pagine alcune vignette del giornale danese Jyllands-Posten contro Maometto. Vignette che già al tempo avevano scatenato molte polemiche e proteste. In Francia il Consiglio francese del culto musulmano chiede perfino la messa al bando del giornale, una richiesta che non trova però alcun esito.

Cinque anni dopo, nel 2011, una bomba molotov colpisce la sede di Charlie Hebdo nel cuore della notte. L’attacco anticipa l’uscita di un numero dedicato alla vittoria del partito fondamentalista islamico nelle elezioni tunisine. Il giorno dopo la copertina avrebbe titolato con un commento di Maometto: “100 frustate se non muori dalle risate”.

Vignette di Charlie Hebdo del 2011 e del 2020
7 gennaio 2015, attacco terroristico a Charlie Hebdo

Il 7 gennaio 2015 il quarto attentato terroristico per il maggior numero di vittime mette nuovamente in ginocchio la Francia. Il quarto dopo quanto accaduto al teatro Bataclan, allo Stade de France e a tre ristoranti parigini (2015), la Strage di Nizza (2016) e i lontani fatti di Vitry-Le-Francois (1961). Quel mattino, a pochi giorni di distanza dalla pubblicazione di nuove vignette contro Maometto, due affiliati di Al-Quaeda entrano negli uffici del giornale per poi aprire fuoco contro i dipendenti causando 12 vittime e 11 feriti.

Settembre 2020, il processo e l’attentato all’ex sede

A settembre di quest’anno, Charlie Hebdo è chiamata a processo per rispondere delle vignette pubblicate dopo il terremoto ad Amatrice. A seguito della tragedia che nel 2016 colpiva le città del centro Italia, il giornale satirico aveva ironizzato su quanto accaduto ritraendo i corpi sotto le macerie come piatti tipici della nostra cucina. Ma tornando ad oggi, in contemporanea inizia il processo alle persone coinvolte negli attentati di gennaio 2015. Mentre la Francia è dunque impegnata a trovare giustizia per quegli atti terribili, il 25 settembre 2020, un 18enne pakistano si presenta vicino all’ex sede del giornale satirico per lanciarsi con un’accetta contro una ragazza e un ragazzo in pausa dal lavoro. Il giornale satirico già da qualche giorno era stato oggetto di gravi minacce da parte di Al-Quaeda. Sulla prima pagine di Charlie Hebdo era tornata infatti la vignetta di cinque anni prima con il titolo “Tout ca, pour ca” ovvero “Tutto questo, per questo”.

Ex sede in quanto, dopo l’attentato del 2015, la testata aveva deciso di trasferirsi in un luogo segreto e protetto.

Prima pagina del giornale francese di satira Charlie Hebdo a settembre 2020
16 ottobre 2020, Samuel Paty, il professore decapitato

Meno di un mese dopo, il 16 ottobre, Samuel Paty, professore parigino, viene decapitato da un suo studente 18enne nato a Mosca ma di origine cecena, dopo aver parlato alla classe delle vignette di Charlie Hebdo contro Maometto. Paty si trova fuori dalla scuola media Bois d’Aulne a nord di Parigi quando viene decapitato. L’assassino viene poi ucciso della polizia locale dopo avergli intimato di consegnarsi, le sue ultime parole sono: «Da Abdullah, servitore di Allah, a Macron, dirigente degli infedeli, ho giustiziato uno dei tuoi cani dell’inferno che ha osato offendere Maometto. Calma i suoi simili primi che non vi venga inflitto un duro castigo».

Solo qualche giorno prima alcuni genitori degli studenti di Paty si erano lamentati con la scuola perché a lezione, parlando di libertà d’espressione, il professore aveva mostrato proprio quelle immagini.

29 ottobre 2020, attentato a Nizza e a Gedda

Dopo quanto accaduto il Presidente Macron ha preso parola puntandosi contro l’islamismo radicale a favore delle vignette satiriche su Maometto. Di contro, Erdogan ha sempre difeso il suo Profeta esortando i suoi connazionali a boicottare i prodotti francesi. Il 28 ottobre 2020 Charlie risponde a Erdogan con una nuova vignetta satirica in cui riporta il Presidente turco mentre solleva la gonna di una donna velata lasciandola seminuda.

Le autorità turche si sono immediatamente esposte contro la vignetta gridando al “razzismo culturale” mentre meno di 24 ore dopo, un uomo decapita alcune persone dentro e fuori Notre-Dame, nel centro di Nizza, colpita per la terza volta da atti terroristici, e nel consolato francese di Gedda dove è stata ferita una guardia. Il bilancio è stato di tre morti e diversi feriti, mentre dalla Turchia è arrivata subito la condanna degli attacchi: «Nessun motivo può giustificare l’uccisione di una persona né la violenza».

Annamaria, professoressa di italiano a Parigi: “Parlare di differenza culturale diventa un campo minato”

«La libertà di espressione francese è così fragile e autoreferenziale che non regge davanti al diverso, che non esiste in Francia, perché lì siamo tutti uguali. Ecco perché i Musulmani, i Cristiani, così come le caricature e i disegni sulle religioni fanno paura». A parlare è Annamaria, una ragazza italiana che da qualche mese lavora a Parigi come insegnante. Subito dopo la morte di Paty, il suo sfogo ha raggiunto il nostro Paese, mettendo in luce un problema delicato come quello della comunicazione delle diversità culturali. «La Francia è laica, – continua – nella mia scuola tutti i simboli religiosi sono vietati, io stessa mi sono tolta i miei. Al posto del Crocifisso nelle aule c’è la “Carta della laicità” che inneggia all’uguaglianza di tutti, all’abolizione delle etichette. Il problema è che in questo contesto parlare di differenza culturale diventa un campo minato, perché i valori di una religione sono ben più grandi e profondi di quelli dello Stato, e così diventa un tema inaffrontabile».

Annamaria è a Parigi il 16 ottobre quando ha sentito dal telegiornale che un professore come lei è stato ucciso da un alunno. «Mi ricordo di aver ascoltato la notizia in silenzio, incredula e di essermi chiesta: ora cosa racconto ai miei studenti? Per rispettare tutti si crea un circolo di divieti e incoerenze che portano i cittadini a nascondere i segni della propria religione. La paura c’era anche prima di Charlie, le vignette non hanno fatto altro che ostentare senza ritegno i valori francesi. Guarda uno degli ultimi lavori: delle ragazze che ballano il can can, il moulin rouge sullo sfondo… con le teste mozzate! E la scritta ‘La Francia resterà sempre la Francia’».

«Una volta ritornati a scuola, dopo le due settimane di vacanze solite a fine ottobre, ho chiesto al preside e ai miei colleghi quale fosse ancora il mio compito da insegnante, cosa volesse dire educare gli studenti? È una domanda che mi porto ancora con me. In risposta il preside ci chiese di non parlarne con gli studenti. Dopo il minuto di silenzio per Paty abbiamo chiesto agli alunni, bambini di 11 anni, di scrivere in anonimo il loro pensiero. Uno di loro ha scritto: ‘Io sono contro Samuel Paty perché ha offeso il mio Profeta e non doveva farlo. Se l’è cercata’».

Giulia Taviani

24 anni, nasco a Verona, mi sposto a Milano ma sogno Bali. A sei anni ho iniziato a scrivere poesie discutibili, a 20 qualcosa di più serio. Parlo di attualità nel podcast "Mo' To' Spiego" e di vino in "De Buris: Il lusso del tempo". Ho scritto di cinema, viaggi, sport e attualità, anche se sono fortemente attratta da ciò che è nascosto agli occhi di tutti. A maggio 2020 ho pubblicato il mio primo libro "Pieno di Vita"

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