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Il caso della Groenlandia e la rotta dei ghiacci polari

Dal XVI secolo l’uomo ha cercato un possibile passaggio a nord del continente americano per raggiungere l’Asia. Un’alternativa più breve rispetto al Capo di Buona Speranza, il Passaggio a Nord-Ovest è incognito, avventura e ghiacci. Il primo a compiere l’impresa fu Roald Amundsen nel 1906. L’esploratore norvegese riuscì in tre anni a trovare un percorso per giungere allo stretto di Bering. Un tempo considerate impraticabili per la navigazione, oggi, grazie al riscaldamento globale, le rotte artiche stanno acquisendo sempre maggiore importanza. La Groenlandia, l’isola più grande del mondo, è proprio al centro di queste nuove vie commerciali. Ricca di terre rare fondamentali per la moderna tecnologia, di ferro, di uranio, di petrolio e di gas. Una terra ai margini del mondo e simbolo della cooperazione e dell’eccezionalismo Artico che ora, invece, si trova sempre più centrale nelle vicende globali. E tutto questo spiega molto di una delle più importanti partite della geopolitica del ventunesimo secolo: le attenzioni interessate della Cina, le mire esplicite e aggressive di Trump, le preoccupazioni della Danimarca, e dell’Europa intera.

Le nuove rotte commerciali
Le tre rotte commerciali che attraversano l’Artico

Due rotte commerciali interessano oggi il Territorio della corona danese: la Northern Sea Route (Nsr) e il Passaggio a Nord-Ovest o North-West Passage (Nwp). La prima collega i porti dell’Estremo Oriente a quelli europei passando lungo le coste siberiane russe. La seconda, invece, attraversa il Canada polare per giungere allo stretto di Bering. Sulla carta ci sarebbe anche un terzo passaggio: la Central Arctic Shipping Route. Il suo tragitto interesserebbe la parte più centrale del Mare Artico, oggi sicuramente impraticabile e solo possibile con uno scioglimento totale della calotta polare. La Groenlandia si colloca nel mezzo di questi passaggi, una posizione geopolitica e geoeconomica fondamentale, soprattutto per la Nsr. La Groenlandia fa parte del cosiddetto GIUK (Groenlandia Islanda e Regno Unito) gap, uno “stretto” che le imbarcazioni che vogliono usare la via polare russa devono per forza attraversare. E che a livello militare consentirebbe di bloccare la flotta artica del Cremlino all’ingresso nell’Oceano Atlantico.

Sviluppo economico e difficoltà logistiche
Navi attraversano la Nsr

La posizione sicuramente strategica della Groenlandia, non garantisce però il suo sviluppo economico. «Nel breve e medio periodo di benefici per la Groenlandia non ne vedo», ha affermato Lorenzo Tessoni, analista ed esperto di Artico. «La Groenlandia sarebbe importante per controllare queste rotte ma di fatto ne sarebbe ben poco coinvolta». I due principali percorsi artici non toccano il territorio, interessano principalmente Russia da una parte e Canada dall’altro. «Se – però – ed è un grande se, i giacimenti di risorse minerarie e idrocarburi dovessero venire sviluppati in futuro, la rotta commerciale potrebbe essere utile per poter trasportare questi beni fuori dalla Groenlandia, una valenza simile a quella che oggi ha la Nsr per la Russia».

I cinesi importano grandi quantità di greggio e gas dalla Siberia attraverso questa rotta, ma è necessario prestare attenzione. Come dice Tessoni, l’idea che si possano superare le tradizionali vie del commercio che transitano per Suez, Aden e Malacca «è impensabile». Anche se alcuni rapporti affermano che per il 2028 si avrà un’estate completamente libera dai ghiacci, «le temperature rimangono proibitive, d’inverno il ghiaccio c’è e per tenerla operativa è necessario l’uso di rompighiaccio». I costi per mantenere aperto questo percorso sono molto maggiori rispetto al più tradizionale percorso indiano. Inoltre, per accogliere un crescente volume di navi mercantili è necessario realizzare e conservare le nuove infrastrutture e sono necessari importanti fondi. Al momento «non esiste neanche la volontà» di investire in questi progetti, «la rotta è un’alternativa – ancora – temuta».

Nonostante il cambiamento climatico l’Artico rimarrà per decenni, se non più a lungo, un luogo freddo e inospitale. Sviluppare e mantenere anche le più basilari infrastrutture come una rete stradale è molto costoso. Per progetti più importanti come miniere, pozzi di petrolio o gas la sfida è ancora più grande. Se poi si considerano i costi della manodopera tutto il progetto è ancora meno fattibile. Queste difficoltà faranno sì che col tempo «si ridurrà questo hype della corsa all’Artico».

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