Divieto di manifestare
Questo weekend si preannuncia nuovamente carico di tensione. La polizia ha infatti negato qualsiasi autorizzazione per le manifestazioni organizzate dal Civil Human Rights Front, il fronte pacifico della protesta. Il motivo è l’impossibilità di garantire l’ordine pubblico.
Sabato 31 agosto ha infatti un significato particolare. In quella data cade il quinto anniversario dell’approvazione della legge con cui Pechino ha “blindato” la scelta del Chief executive di Hong Kong. Tra le cinque richieste dei manifestanti, il focus è dunque soprattutto sulla quinta, che riguarda la democrazia. Ieri notte il leader del Chrf Jimmy Sham è stato anche assalito da due uomini in un ristorante in cui stava cenando con un amico, ferito a un braccio.
Il Fronte della protesta ha criticato la decisione delle autorità e dichiarato che cercherà altri modi per permettere ai manifestanti di esprimersi. Molti cittadini, spaventati dalle conseguenze legali del prendere parte a un corteo non autorizzato, difficilmente si presenteranno in strada. Ma la parte più estrema della protesta probabilmente non si lascerà fermare, anzi, scenderà in strada con ancora più convinzione.
Il weekend precedente: gli spari della polizia
Domenica 25 agosto gli agenti di polizia hanno puntato le pistole contro attivisti e giornalisti, sparando dei colpi verso l’alto. Le forze dell’ordine, in tenuta antisommossa, hanno schierato anche due automezzi dotati di cannoni ad acqua, per disperdere i manifestanti che lanciavano mattoni e molotov contro gli agenti.
JUST HAPPENED: officers had pointed their guns at protesters and reporters. Some protesters had earlier threw projectiles at them #tsuenwan #hongkongprotests pic.twitter.com/paosHE0tfA
— Jeffie Lam (@jeffielam) August 25, 2019
.@hkpoliceforce subdue a protester. Journalists are blocked from filming. “Are you still filming? I’m warning you!” #hongkongprotests #tsuenwan pic.twitter.com/cuEYtw7WNp
— Jeffie Lam (@jeffielam) August 25, 2019
Le proteste, che vanno avanti da quasi due mesi, mirano a far accettare dalle istituzioni le “cinque richieste” formulate dal movimento. Nell’elenco figurano il ritiro formale della legge sulle estradizioni in Cina – quella da cui è partito il primo moto di manifestazioni – le dimissioni della governatrice Carrie Lam, il suffragio universale per il voto del governatore e del Parlamento locale, un’indagine indipendente sull’operato della polizia durante gli scontri e la cancellazione delle accuse a carico dei manifestanti arrestati.
La protesta più tecnologica di sempre
Quelle che sono andate in scena per le strade di Hong Kong nelle ultime settimane sono state etichettate come le manifestazioni più tecnologiche mai viste. Schemi collaudati per proteggersi dai fumogeni lanciati dalla polizia, occhiali scuri, maschere antigas, caschi gialli, ombrelli contro lo spray urticante e laser verdi per disturbare le telecamere della polizia che vogliono riprenderli e non farsi così riconoscere. Non mancano anche le racchette da tennis, usate per rimbalzare i fumogeni lanciati dalle forze dell’ordine.
Apparently Roger Federer is in town.#HongKongProtests#AntiELABhk#antiELAB pic.twitter.com/hJfbZ4ukIP
— Alex Hofford (@alexhofford) August 24, 2019
Non conservano nessun messaggio o contatto legato alle proteste sui propri cellulari. Si coordinano principalmente tramite Telegram, social noto per permettere l’autodistruzione dei messaggi. Le comunicazioni viaggiano a staffetta: ci sono tanti piccoli gruppi che si passano le informazioni, evitando che la polizia possa rintracciare un gran numero di persone confiscando il cellulare di uno solo di loro.
Altra piattaforma in voga tra i manifestanti è Lihkg, simile a Reddit. Qui sono nati molti dei poster che popolano Internet e vengono affissi ai muri della città. Spesso a disegnarli sono artisti che si uniscono agli attivisti. Le grafiche ricordano i manga e il messaggio è uno solo, in mille varianti: tenere duro. Non si può non menzionare quello che cita Bruce Lee, «Be water» («Sii acqua»), per indicare la capacità di adattarsi a tutte le situazioni. Ma i poster vengono usati anche per comunicare tra protestanti: alcuni ricordano loro di cosa devono munirsi prima di partecipare ai cortei.
Tra i simboli delle manifestazioni a Hong Kong sono entrati di diritto anche i tatuaggi. Un artista a luglio ha tatuato gratis gli elementi iconici durante le proteste. Tra i più ricorrenti un ombrello, una benda su un occhio insanguinato per indicare le violenze delle forze dell’ordine, e l’orchidea, simbolo della città.
Le contro-mosse del governo cinese
Ma la tecnologia non viene usata solo dai manifestanti: nei giorni scorsi Facebook, Twitter e Google hanno dichiarato di aver chiuso migliaia di account, pagine e gruppi legati alla Cina. Secondo quanto reso noto dalle piattaforme diffondevano fake news sulle proteste di Hong Kong.
Twitter ha bloccato 936 account che manipolavano la prospettiva delle manifestazioni. In una nota ufficiale afferma che un’indagine ha fornito «prove affidabili» del fatto che l’attività social di disinformazione fosse parte di «un’operazione coordinata sostenuta da uno stato». Poco dopo anche Facebook ha dichiarato di aver individuato e chiuso sette pagine, tre gruppi e cinque account.
Entrambi i social sostengono che i contenuti diffusi dagli account mostrassero manifestanti in atteggiamenti violenti. Volevano inoltre insinuare che le motivazioni dietro le proteste fossero di carattere diverso rispetto a quanto diffuso dai media internazionali. Su Facebook circolava un post che parlava di legami con l’Isis.
Twitter rende noto di aver bloccato la promozione di tweet da parte di media appoggiati da uno stato. Una decisione presa dopo che il China Daily e altri organi di informazione dello stato cinese avevano pubblicizzato sulla piattaforma spot che mostravano come le proteste pacifiche di Hong Kong fossero violente e nascondessero interessi dell’Occidente. Facebook e Twitter sono vietati in Cina, e l’accesso è possibile solamente tramite VPN, indizio del fatto che l’operazione possa essere parte di uno sforzo del governo cinese di influenzare l’opinione globale sulle proteste.
Google ha disabilitato 210 canali YouTube che avevano pubblicato video amatoriali sulle manifestazioni. Gli account facevano parte di un’azione coordinata di disinformazione. Shane Huntley, ingegnere del software del team di analisi delle minacce di Google, ha specificato che gli account rimossi erano «coerenti con le recenti osservazioni e azioni relative alla Cina annunciate da Facebook e Twitter».