Studio, passione, strategia. La ricetta dietro a The Odessa Journal è semplice ma non banale. Il sito di informazione in lingua inglese è stato fondato nell’omonima città ucraina da Ugo Poletti nel 2019, all’alba dell’esplosione della pandemia. Ideato come periodico culturale, satirico, letterario alla The New Yorker, si è trasformato in mezzo di promozione turistica e guida per chi volesse fare affari ad Odessa, per diventare infine quello che è oggi: fonte primaria delle notizie sulla guerra.
«Quando ti piace la città in cui vivi e inizi a studiarla, va a finire che la conosci meglio di un locale»
Ugo Poletti è nato a Milano nel 1965. Diploma di liceo scientifico e laurea in Bocconi. Successivamente, quasi 20 anni tra banche e consulenza a industrie, istituzioni nazionali e internazionali e, infine, hotel. È così che nel 2017 finisce a Odessa in Ucraina: per occuparsi della promozione commerciale e istituzionale di una catena di alberghi.
Lì trova una realtà che lo affascina, sia sul piano culturale sia dal punto di vista della possibilità di fare investimenti. Piano piano inizia a studiarla e a conoscerla, anche meglio di alcuni abitanti del luogo secondo lui, e scopre una città diversa da quella raccontata dai mezzi di informazione. Ridendo dice che amici e parenti non volevano andarlo a trovare a Odessa perché la ritenevano pericolosa e piena di criminali, truffatori e prostitute.
Nel 2017, Poletti decide allora di appianare questo mismatch e colmare la lacuna informativa in cui stava sprofondando la città attraverso la creazione di un giornale in lingua inglese che potesse promuovere Odessa tra potenziali turisti e uomini d’affari. Il mito dell’America, il fascino della carta e l’aiuto di un socio ucraino («utile anche per avere una copertura politica, perché da straniero non si sa mai») fanno il resto.
Il processo di ideazione del prodotto è lungo e tormentato. The Odessa Journal viene pensato sulla falsa riga del The New Yorker, ma la ricetta non sembra essere di quelle vincenti. Poletti decide allora di cambiare e fare un prodotto cartaceo con contenuti all’insegna della positività: cultura, gastronomia, vita sociale. Cronaca nera ridotta al minimo, cadenza settimanale, prodotto distribuito gratuitamente sui trasporti pubblici. Gli sponsor lo avrebbero sostenuto economicamente.
Poi il Covid blocca la gente a casa e svuota metrò e autobus. A Poletti non resta che buttarsi nella rete e creare un sito con appendici sui social. La redazione è essenziale: una persona fissa oltre a lui e da sei a otto collaboratori tra conoscenti, volontari e gente che ha la stessa sua passione per Odessa. I primi contributi arrivano da cliniche private, aziende manifatturiere, supermercati, studi di avvocati. «Tutti piccoli investimenti – dice Poletti – che però servivano anche per qualificarsi nella business community della città». Poi è arrivata anche la guerra.
«L’Ucraina è un Paese complicato da descrivere»
Lo scoppio del conflitto pone la questione di come raccontare quello che stava succedendo. Tre le direttrici che avrebbe seguito The Odessa Journal: dare notizie quotidiane sullo svolgimento dei combattimenti; tradurre dal russo e dall’ucraino i documenti ufficiali dell’esercito e delle istituzioni, «con l’aggiunta di elementi che potessero meglio intercettare l’interesse di un’audience internazionale» sottolinea Poletti; provare a delineare l’Ucraina del domani dando voce a intellettuali, opinion maker e esperti militari.
Nel giro di poco tempo, i lettori del sito aumentano di 50 volte e i follower su Twitter passano da 900 a 9000. Poletti è richiestissimo in tv, radio e giornali, italiani e internazionali. Nei primi tempi del conflitto arriva a rilasciare 12 interviste al giorno e finora ne ha stimate circa 700 in totale.
La differenza, oltre al fatto di essere quasi letteralmente in prima linea, sta nella profonda conoscenza del luogo dove si svolge la guerra. Per Poletti «l’Ucraina è una Paese complicato da descrivere» per la sua storia, la sua lingua, la sua religione. Elementi che risentono degli anni della dominazione sovietica: «una persona su cinque ha parenti in Russia. I soldati ucraini parlano in russo tra di loro. Lo stesso Zelensky ha fatto la campagna elettorale in russo» dice il fondatore di The Odessa Journal. Ci sono poi la Chiesa ortodossa che fa capo a Mosca, quella autocefala ucraina, i cattolici di rito orientale.
Differenze che prima del conflitto non provocavano divisioni e che ora hanno lasciato spazio alla necessità di compattarsi contro il nemico comune. Differenze dunque difficilmente comprensibili fino in fondo dall’esterno e che nella comunicazione si prestano a semplificazioni fuorvianti. «Quando non sai qualcosa, ti aggrappi a ciò che conosci. I media, soprattutto quelli italiani, hanno ridotto il conflitto a uno scontro tra Stati Uniti e Russia, ma non è così».
Poletti è molto critico nei confronti della comunicazione sulla guerra nel nostro Paese, improntata, secondo lui, alla descrizione del dolore e della sofferenza, al suscitare emozioni di pancia, con la necessità, soprattutto in tv, di creare fenomeni mediatici e contrapposizione tra due opposti fronti. Un atteggiamento che non ha trovato nei media anglosassoni: «più puntuali sull’attualità cogente, meno tesi al pietismo. Chiedevano un commento solo su alcuni fatti ben precisi: dal ruolo della Cina alla frase di Berlusconi».
«La guerra tra non molto finirà»
Oggi, nel mondo, la città dove The Odessa Journal è più letto è Londra, il Paese gli Stati Uniti. In Ucraina, è più popolare a Kiev rispetto alla città di cui porta il nome, perché in quest’ultima, secondo Poletti, ci sono meno persone che parlano inglese.
Guardando al futuro, il fondatore del sito vede la fine della guerra vicina e all’orizzonte nuove sfide e opportunità per il Paese. Innanzitutto, il tema della riconciliazione nazionale. Dopo l’estremismo che la guerra ha portato con sé, Poletti ritiene sia necessaria un’azione di pacificazione interna e inclusione della diversità, soprattutto se l’Ucraina dovesse riconquistare la Crimea, per evitare di cancellare tutto il patrimonio culturale e storico di matrice e lingua russa. Alla fine dell’anno scorso, per esempio, a Odessa è stata rimossa la statua dell’imperatrice Caterina II di Russia, che a fine ‘700 incaricò un nobile napoletano di fondare la città.
C’è poi la grande questione della ricostruzione, per la quale alcuni Stati europei già stanno prendendo accordi di collaborazione. Poletti, per quanto riguarda il suo giornale, vede in questo l’opportunità di accrescere gli inserzionisti internazionali e di aumentare il peso di The Odessa Journal nel milieu giornalistico in lingua inglese dell’Ucraina, che al momento vede due soli concorrenti, sebbene decisamente più grandi e meglio organizzati: il Kiev Post e il Kiev Indipendent. In ogni caso, per ora, si sente tranquillamente di affermare: «Volevo una vita interessante…e l’ho avuta».