Con il riconoscimento da parte di Putin dell’indipendenza delle due Repubbliche secessioniste filorusse Donetsk e Lugansk, molto si è detto a proposito della rivalità russo-ucraina. Essa, tuttavia, si protrae da più di un secolo, e non solo per questioni geo-politiche. Anche le politiche linguistiche, infatti, hanno avuto un ruolo determinante nella tensione tra i due paesi.
Inizio ‘900
La Russia zarista di inizio Novecento deve fare i conti con tre problemi: il potere autocratico illimitato; la mancanza di Costituzione e diritti civili; un’intellighenzia e un movimento operaio a favore della rivoluzione socialista. I bolscevichi rivoluzionari vogliono una cesura netta con la società che gli zar avevano creato. Per farlo, Lenin decide di evitare la coercizione all’uso e allo studio del russo perché crede che questo porterebbe soltanto inimicizia tra i popoli. Tant’è che, in un discorso pubblico del 1914, Lenin dice: «Una cosa sola però non vogliamo: l’elemento della coercizione. Non vogliamo mandare nessuno in paradiso a bastonate. Perché, per quante belle frasi possiate dire sulla cultura, alla lingua di Stato obbligatoria si accompagna comunque la coercizione, la violenza».
Anni Venti: La korenizacija
Inizia così la korenizacija (indigenizzazione, dal russo koren’, radice). Essa consiste nel consentire lo sviluppo delle lingue e delle culture nazionali. Al contrario di quanto si possa pensare, essa non è dettata dalla volontà di valorizzare le lingue nazionali né da generosità. Due sono gli obiettivi: da un lato distinguersi dal governo zarista; dall’altro consentire ad ampie masse di persone di avvicinarsi all’ideologia marxista-leninista attraverso la propria lingua, sia essa il russo, il bielorusso o l’ucraino. Ma i problemi emergono subito. Il primo è una contraddizione ideologica di fondo: l’aspirazione a un internazionalismo socialista stride con quelle linee politiche che favoriscono le singole identità linguistico-culturali. Il secondo problema è che queste scelte finiscono per stimolare un recupero del sentimento nazionale.
1925: “Nazionale nella forma, socialista nel contenuto”
Nel 1925 Stalin conia la formula nazionale nella forma, socialista nel contenuto, che il leader dell’URSS ripete costantemente. Sul reale significato dell’espressione, numerosi sono stati i dibattiti. Secondo lo storico Hennadij Jefimenko, questo slogan indicava che, nel percorso verso la vittoria del socialismo, lo sviluppo culturale delle varie nazioni dell’Unione attraverso la scuola doveva essere svolto inizialmente nella lingua di ogni repubblica (nazionale nella forma). Stalin però considerava questa fase come transitoria ma necessaria per arrivare al trionfo del socialismo (socialista nel contenuto) su scala mondiale e alla scomparsa di qualsiasi distinzione linguistico-culturale con l’affermazione di un’unica lingua. Il risultato più importante ottenuto in URSS negli Anni Venti è la codificazione uniformata della norma linguistica per le lingue slave che nell’Ottocento non erano riuscite a stabilizzarsi: fra queste, anche l’ucraino.
Ucraina negli Anni Venti
La korenizacija in Ucraina prende il nome di Ukrajinizacija. Essa ha inizio formalmente nel 1925, ma di fatto già dal 1919, poiché subito dopo la rivoluzione si riscontrano tentennamenti da parte dei comunisti. I bolscevichi, infatti, erano più propensi a considerare l’ucraino come un dialetto russo, dunque passibile di russificazione, piuttosto che una lingua con una propria identità. Sarà Lenin a insistere affinché in Ucraina si sviluppi liberamente la lingua ucraina come arma di educazione comunista per la massa dei lavoratori. Alla fine del 1927, l’80% dell’educazione primaria era impartito in lingua ucraina. Bisogna però notare anche che, nei gradi di istruzione più elevati (università), il russo restava la lingua dominante. Sempre in questo periodo assistiamo non soltanto alla fondazione dell’Accademia delle Scienze Ucraina, ma anche alla redazione di manuali, grammatiche e dizionari. Nel complesso, per l’ucraino si osserva la sistematizzazione delle norme ortografiche, ortoepiche, morfologiche e sintattiche.
Anni Trenta: Stalin e la sovietizzazione
Negli Anni Trenta, appare evidente l’impossibilità di esportare la rivoluzione, e si manifesta concretamente la minaccia di spinte nazionaliste favorite dalla politica della korenizacija. Il russo torna a essere la lingua dell’istruzione superiore e della mobilità sociale. Le altre lingue continuano, pur fra varie difficoltà, a consolidarsi, ma hanno un ruolo secondario. Stalin si accorge del pericolo dell’indigenizzazione, che rischiava di portare a spinte nazionaliste e indipendentiste assai pericolose per la stabilità dell’URSS. Per questo, Stalin sceglie la via della sovietizzazione, politica che tende a ripiegare verso il potere e il controllo centrale. Le lingue nazionali non spariscono, ma il russo diventa imprescindibile strumento per istruzione e carriera. Attraverso una serie di riforme ortografiche, ucraino e bielorusso diventano simili per ortografia al russo. Nel 1938 inoltre il russo diventa materia obbligatoria in tutte le scuole elementari e medie di tutta l’Unione.
Chruščëv al potere
Al potere dal 1953 al 1964, Nikita Chruščëv decide di abbandonare la formula “nazionale nella forma, socialista nel contenuto”. Definisce il russo come lingua di comunicazione internazionale del sovetskij narod (popolo sovietico). L’uomo sovietico, pertanto, da un lato presenta tratti internazionalisti perché in grado di parlare russo, dall’altro conserva le proprie peculiarità nazionali. Insomma, con Chruščëv un ucraino parla l’ucraino nella vita di tutti i giorni, e parla il russo come lingua veicolare (come oggi per noi può essere l’inglese). Inoltre, nel 1958 un decreto permette ai genitori di decidere la lingua dell’insegnamento scolastico per i figli. Un provvedimento che solo in apparenza è democratico: la lingua per fare successo in Unione Sovietica è e rimane solo una, il russo.
La stagnazione di Brežnev
Con la stagnazione di Brežnev, che governa dal 1964 al 1982, il russo viene presentato come lingua “volontariamente accettata”, e la sua glorificazione raggiunge i livelli dello zarismo. Assistiamo, pertanto, a un incremento del russo come lingua di insegnamento, a discapito delle altre lingue nazionali: l’ucraino perde prestigio (idem il bielorusso) e viene insegnato solo nella metà delle scuole dell’Ucraina. Libri e giornali in Ucraina sono scritti prevalentemente (72%) in russo, e l’affluenza di cittadini russi genera una notevole perdita di terreno della lingua ucraina.
Gorbačëv
La perestrojka e la glasnost’ di Gorbačëv tentano con scarso successo di tenere sotto controllo un sistema al collasso. L’ultimo presidente dell’URSS commette un grave errore: sottovaluta la questione nazionale. Prosegue infatti con il bilinguismo di stato e non autorizza alcuna concessione a tutela delle varie lingue nazionali. L’unico (quasi impercettibile) cambiamento è una riduzione della glorificazione del russo. In questo periodo, due linguisti, Isaev e Dešeriev, diffondono un’immagine ottimistica della realtà sovietica. Parlano del russo come lingua di comunicazione interetnica che però a livello giuridico si colloca sullo stesso piano di tutte le altre. Si rifanno all’articolo 34 della Costituzione (rifiuto di lingua ufficiale e coercizione). Considerano quindi errore il fondo lessicale comune, conseguenza della korenizacija.
L’Ucraina oggi
La relazione tra russo e ucraino oggi è ancora assai delicata. Sotto l’attuale presidente ucraino Zelens’kyj, risale al 2019 l’ultima legge di politica linguistica. In particolare, si stabilisce che l’ucraino sia la lingua di stampa, scienza, burocrazia e amministrazione. In generale viene tutelato l’ucraino garantendo comunque il rispetto dei parlanti russi. Il russo, tuttavia, resta fondamentale per la comunicazione quotidiana e nell’ambito professionale. C’è però un problema: in Ucraina la lingua materna non necessariamente corrisponde alla lingua parlata nel contesto famigliare dalla più tenera età (come invece succede in Italia, ad esempio). Può coincidere, ma può anche essere la lingua sulla quale si proietta un senso di appartenenza di carattere nazionale. Prima del conflitto del conflitto del Donbass, non si faceva caso alla lingua dell’interlocutore. Ora invece la sensibilità è più marcata: il russo viene percepito come la lingua dell’aggressore. Di conseguenza, si cerca di utilizzare il più possibile l’ucraino.