Le immagini provenienti dal campo profughi di Tal as-Sultan a Rafah hanno acceso una miccia pronta a esplodere da tempo. La polarizzazione è arrivata a livelli mai visti dall’inizio del conflitto, con Israele messo sotto accusa da tutto il mondo. Da un lato, Stati, organizzazioni internazionali e Ong che condannano in maniera uniforme la condotta delle forze militari israeliane con Spagna, Irlanda e Norvegia che riconoscono lo Stato palestinese. Dall’altro, l’opinione pubblica che si scontra sui social a colpi di hashtag mentre i manifestanti pro Palestina occupano università e, a Bologna, addirittura, bloccano la stazione centrale per un pomeriggio intero.
Il raid a Rafah
Secondo le ultime ricostruzioni, il blitz israeliano avrebbe impiegato 8 missili e sarebbe stato diretto a colpire due alti esponenti di Hamas nascosti nel quartiere di Tal as-Sultan a Rafah. La zona, designata circa un mese fa da Israele come «zona umanitaria», ospita una tendopoli dove vivono migliaia di civili palestinesi.
Le esplosioni avrebbero provocato lo scoppio di vari incendi che si sono propagati sulle tende. Secondo la Mezzaluna Rossa Palestinese, il ramo della Croce Rossa a Gaza, molte delle vittime sono state bruciate vive. Si tratta di 45 morti, di cui 23 tra bambini, donne e anziani e 200 feriti.
Netanyahu difende l’operazione come «tragico incidente di cui rammaricarsi» mentre le IDF spiegano che il raid era stato diretto a un target a 1.7km dall’area umanitaria e che le fiamme devastanti potrebbero essere state causate da alcuni depositi di carburanti o armi colpiti dalle schegge.
Le reazioni dell’opinione pubblica
L’opinione pubblica mondiale si è infiammata immediatamente, Italia in prima linea. E i social hanno avuto un ruolo chiave. I video diffusi dai civili coinvolti nelle esplosioni e negli incendi hanno scatenato un’indignazione generale, soprattutto quello ritraente il cadavere di un bambino senza testa.
L’hashtag #AllEyesonRafah si è diffuso in tutto il mondo, raggiungendo, per ora, 39 milioni di condivisioni solo su Instagram. Gli utenti richiedono a gran voce di prendere una posizione, fanno liste di celebrità che hanno supportato la causa segnalando chi non l’ha fatto, accusano di ignavia e “complicità” chi non condivide l’hashtag.
All eyes on #Rafah 🇵🇸 pic.twitter.com/bg3bAtl3dQ
— The Palestinian (@InsiderWorld_1) May 27, 2024
Dall’altro lato, ci sono i supporter israeliani, molti meno. La risposta a #AllEyesonRafah è If your eyes are on Rafah, help us find our hostages. Tradotto, se i vostri occhi sono su Rafah aiutateci a trovare gli ostaggi. Le condivisioni in confronto sono minime, per ora, l’hashtag ne ha raggiunte solo 80mila.
If your eyes are on Rafah, help us find the 125 hostages.#BringThemAllHome pic.twitter.com/irtZ6dLz2U
— Tammy Ben-Haim 🎗️ (@tammybenhaim) May 29, 2024
Le proteste si muovono anche oltre l’aspetto virtuale. Le acampade nelle università sono ormai cosa nota, dalla Columbia di New York fino alla Statale di Milano. Ma dopo il raid a Rafah il movimento pro-pal ha fatto un passo in avanti.
Nel pomeriggio del 28 maggio, circa 1500 manifestanti hanno invaso la stazione di Bologna e occupato i primi sei binari al grido di «Palestina libera» e «se non cambierà, Intifada sarà». La protesta è terminata dopo circa un’ora, causando la sospensione dei treni dalle 19:20 alle 20:30. Ritardi fino a 95 minuti, cancellazione di molti treni.
Il corteo, dopo aver lasciato la Stazione, ha proseguito la manifestazione per le strade di Bologna fino ad arrivare a Piazza Maggiore. «Abbiamo dimostrato che possiamo bloccare i treni di tutta Italia, se genocidio continua blocchiamo tutto», il grido del corteo.
Le proteste sono state commentate dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini: «Questi imbecilli, a Bologna, hanno danneggiato migliaia di viaggiatori bloccando decine di treni con pendolari, studenti e lavoratori. Non siamo più disposti a tollerare questi atti criminali: ci saranno conseguenze».
Spagna, Norvegia e Irlanda riconoscono Palestina
Dopo dieci anni dalla Svezia, altri tre paesi dell’Unione Europea hanno riconosciuto ufficialmente lo Stato di Palestina. Sono Spagna, Irlanda e Norvegia che, dal 28 maggio, intratterranno rapporti diplomatici con Ramallah. A riconoscere lo Stato nell’Unione sono anche Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Romania, Bulgaria. Ma fecero la mossa prima di entrare nell’UE. Nel resto del mondo ci sono numerosi paresi asiatici, africani e dell’America Latina, per un totale di 140 Paesi membri Onu su 193.
La decisione ha ovviamente scatenato la rabbia del governo israeliano. Netanyahu rivendica gli Accordi di Oslo, secondo i quali uno Stato Palestinese può nascere solo per via negoziale.
La tensione di Tel Aviv con le cancellerie europee è alle stelle. L’indignazione espressa da Macron e Borrel per il raid si somma alle dichiarazioni dei ministri di Spagna, Irlanda e Norvegia.
Il ministro degli esteri israeliano Israel Katz aveva già annunciato il ritiro degli ambasciatori nei tre Stati e, il 28 maggio, ha criticato di nuovo la Spagna, «complice di incitamento al genocidio degli ebrei e dei crimini di guerra» per poi postare su X che la vice prima ministra spagnola Yolanda Dìaz «sostiene l’eliminazione di Israele e l’istituzione di un territorio islamico palestinese terrorista» al pari di Sinwar e di Khamenei.
La questione è arrivata anche in Italia, dove un gruppo di deputati del M5s si è presentato nell’aula di Monte Citorio con bandiere palestinesi. Appello rilanciato anche dalla segretaria del Pd Elly Schlein da Catania: «Abbiamo visto che la Spagna e la Norvegia hanno proceduto al riconoscimento, sarebbe ora che lo facesse anche l’Italia. Noi insistiamo sul riconoscimento europeo, perché possa aiutare un processo di pace in Medio Oriente più necessario che mai».