Il 18 Dicembre del 1865 è stato ratificato il XIII emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America. 154 anni fa è stata ufficialmente abolita la schiavitù a eccezione di casi limite: i lavori forzati erano riconosciuti ai colpevoli di alcuni reati. Sono stati James Mitchall Ashley, repubblicano dell’Ohio, e poco dopo anche James Falconer Wilson, repubblicano dell’Iowa, ad avanzare la proposta un anno prima.
Il tema era prettamente legato all’ambito repubblicano, fatta eccezione per l’interesse di John Brooks Henderson, democratico del Missouri. La commissione del Senato per gli affari giudiziari è stata tirata quindi in ballo per una versione unificata delle differenti proposte.
Questo avvenimento ha aperto le porte, nel 1864, alla ratifica del XIV emendamento, che permetteva di ottenere la cittadinanza a chiunque fosse nato sul suolo americano e al XV nel 1870, che garantiva il diritto di voto ai nuovi cittadini.
Nel momento in cui il XIII emendamento è stato approvato dal Senato, ma non dalla Camera dei Rappresentanti, si è reso necessario l’intervento del Presidente Abraham Lincoln. Il suo interesse è dimostrato dal fatto che il documento originario, contrariamente alla prassi, reca la sua firma sotto a quella dei presidenti di Camera e Senato.
La Storia
I primi coloni inglesi si sono insediati a Jamestown, in Virginia, nel 1607 e 12 anni dopo una trentina di schiavi africani sono stati venduti dai pirati inglesi ai cittadini. I bucanieri li avevano sottratti a una nave portoghese che, a sua volta, li aveva strappati dall’Angola, terra d’origine. Quella compravendita ha dato inizio alla schiavitù in Virginia.
Quegli uomini e quelle donne sono stati i primi di 12,5 milioni di africani strappati dalle loro terre per essere portati in catene oltreoceano, dando inizio alla più grande migrazione forzata di massa della storia prima della Seconda Guerra Mondiale. Sono state quasi due milioni le vittime a causa degli estenuanti viaggi.
Lo schiavismo, necessario per la coltivazione delle piantagioni dei padri fondatori e per la costruzione delle mura della Casa Bianca e della sede del Congresso, è stato fondamentale anche per l’incremento della ricchezza e del benessere dei padroni. Di conseguenza questa ha contribuito ad accrescere il sistema bancario, assicurativo e commerciale di Wall Street, trasformando New York nella capitale della finanza mondiale.
Ma al di là del contributo fisico-economico gli schiavi afro-americani sono e sono stati fondamentali per l’ideale di libertà del Paese.
Nella Dichiarazione d’Indipendenza dalla Corona Britannica (4 Luglio 1776) viene affermato: «Tutti gli uomini sono creati uguali e dotati dal loro creatore di alcuni diritti inalienabili». Quando sono state scritte queste parole non si credeva che potessero valere anche per le centinaia di migliaia di schiavi neri che, all’epoca, costituivano un quinto della popolazione.
Cosa voleva dire essere schiavi?
La schiavitù era legata esclusivamente all’appartenenza razziale. Non era temporanea o riscattabile, ma ereditaria e permanente. Gli schiavi non erano considerati esseri umani, ma proprietà che potevano essere ipotecate, violentate o esposte con un cartello al collo con scritto: «Negri in vendita».
Negli Stati del Sud, come il Mississippi, i neri lavoravano nelle piantagioni di cotone dall’alba fino a notte fonda. Il sogno di una terra promessa però era solo un’illusione e spostarsi da quei luoghi era deludente.
Indipendenza dalla Gran Bretagna
Secondo alcune fonti, dalla storia degli Stati Uniti sarebbe stato omesso il fatto che i coloni avessero deciso di proclamarsi indipendenti dalla Corona Britannica perché volevano mantenere lo schiavismo.
Il rapporto con la schiavitù muta profondamente in Gran Bretagna nel 1776 quando a Londra in molti ne chiedevano l’abolizione. La decisione tardava ad arrivare perché eliminare questo sistema significava indebolire l’economia delle colonie americane.
Quella stessa ricchezza, generata dal lavoro degli schiavi, aveva convinto i padri fondatori americani di poter uscire dal controllo inglese. E, secondo le stesse ricerche, quando è stato scritto il testo della Costituzione americana i suoi autori avrebbero evitato di citare la parola schiavitù. Samuel Bryan, scrittore abolizionista dell’800, ha denunciato la questione: «Le sue parole sono oscure e ambigue […] e sono chiaramente state scelte per nascondere all’Europa che in questo Paese illuminato la pratica dello schiavismo ha i suoi sostenitori tra gli uomini che ricoprono le più alte cariche di potere».
Abraham Lincoln
Il 14 Agosto 1862 Lincoln ha organizzato alla Casa Bianca un incontro con cinque stimati uomini liberi neri. La guerra civile tra nord e sud infuriava e gli abolizionisti facevano sempre più pressione: non si riuscivano a trovare volontari bianchi che volessero combattere. Il presidente ha preso quindi in considerazione l’idea di arruolare neri americani che in cambio, con l’emancipazione, avrebbero ottenuto l’obbligo, presentato come un favore, di tornare in Africa. È rimasto molto stupito quando gli uomini non accettarono la proposta. Erano ormai americani di nascita e non avevano alcuna intenzione di abbandonare la loro terra.
Lincoln era contrario alla schiavitù. Lui come molti altri americani bianchi la riteneva un sistema crudele in contrasto con gli ideali nazionali ma, allo stesso tempo, era contrario a riconoscere ai neri l’uguaglianza. Quando, circa tre anni dopo quell’incontro, il generale Robert E. Lee, comandante delle truppe confederate si è arreso all’esercito nordista, quattro milioni di neri americani stavano per diventare liberi.
Nel 1866 i neri hanno spinto affinché i politici bianchi approvassero il Civil Rights Act, la più importante legge sui diritti civili che il Congresso abbia mai introdotto: il diritto di cittadinanza per i neri americani.
Cosa accadde dopo
Durante il breve periodo della ricostruzione, la maggioranza del Congresso temeva che dalle ceneri della Guerra Civile potesse nascere la democrazia multirazziale. Il razzismo nei confronti dei neri scorreva nel Dna del Paese. I bianchi del sud hanno reagito alle molte conquiste di quel periodo con una resistenza feroce: le violenze, le repressioni su vasta scala dei votanti, i brogli elettorali e perfino il rovesciamento di governi democraticamente scelti erano colpe attribuite ai neri. È ricominciata così la repressione degli schiavi, talmente pesante che quel periodo, tra gli anni ’80 dell’800 e i ’20 del ‘900, è stato chiamato Grande Nadir o seconda schiavitù. La democrazia non sarebbe tornata per quasi un secolo nei Paesi del sud degli Stati Uniti.
I bianchi hanno quindi creato un sistema di apartheid razziale, imposta con la violenza, che ha escluso quasi completamente i neri dalla vita del Paese. Un sistema così terribile che avrebbe dato successivamente l’ispirazione alla Germania nazista. Nel 1896 la Corte suprema ha affermato che la segregazione razziale non era incostituzionale nonostante il XIV emendamento.
Mentre si avvicinava il centenario dell’abolizione della schiavitù, i neri stavano ancora cercando di ottenere i diritti per i quali avevano combattuto e che avevano momentaneamente conquistato dopo la Guerra Civile.
Il Caso Mississippi
Dal 1865 la ratifica del XIII emendamento, che aboliva la schiavitù, ha iniziato a entrare in vigore per tutti gli Stati. Particolarmente anomalo è il caso del Mississippi, Paese tra i più violenti nei confronti degli schiavi. Nel 1995, a 130 anni dalla sua adozione, nonostante ci fossero alcune astensioni nell’ultima sezione della risoluzione della proposta, si diceva esplicitamente che il Segretario di Stato avrebbe dovuto inviare una copia della legge agli uffici federali competenti. La cosa non è stata mai fatta e ancora oggi rimangono ignote le motivazioni.
Nel novembre del 2012 Rankan Batra, un professore di neurobiologia e scienze anatomiche della University of Mississippi Medical Center è andato al cinema per vedere Lincoln, il film di Steven Spielberg. La pellicola lo ha colpito al punto da spingerlo ad approfondire le proprie conoscenze su quello che è avvenuto in seguito all’approvazione del XIII emendamento. Batra ha scoperto che tra gli Stati che avevano respinto la ratifica, c’era proprio il Paese in cui viveva da quattro anni, dopo essersi trasferito dall’India.
Vicino alla data di ratifica del Mississipi del 1995 ha notato un asterisco che ne indicava la mancata ufficializzazione dal momento che questa non era mai stata comunicata agli archivi nazionali e lo Stato non l’aveva mai formalizzata. Dopo aver fatto varie ricerche ha contattato gli Archivi Nazionali e il 7 febbraio 2013 anche il Mississippi ha chiuso il cerchio delle approvazioni.
Gli Afro-americani sono pietre miliari
Se la libertà era un diritto inalienabile per i bianchi, la schiavitù era condizione naturale per le persone di colore. La Corte Suprema ha sancito la legalità di questo concetto nel 1857. Anche se libertà e giustizia sono state negate agli uomini di colore, questi hanno sempre mantenuto una fede cieca nel credo americano. Le proteste e le lotte per i diritti hanno aperto la strada a tante altre, come quelle per i diritti di omosessuali e donne. Il sociologo Joe R. Feagin sostiene: «Gli schiavi afroamericani sono stati i più grandi combattenti per la libertà che questo Paese abbia mai prodotto».