Gilet gialli, il Quarto Stato del XXI secolo?

Per la Francia è stato il decimo sabato di protesta dal 17 novembre, quando per la prima volta sono scesi in piazza migliaia di gilet jaunes. Secondo quanto riportato dal quotidiano francese Le Monde, su Facebook i diversi leader, che guidano il movimento, si sono dati appuntamento a Parigi e in altre dieci città per «una mobilitazione uguale a quella della settimana scorsa». Sul social network echeggiano le rivendicazioni, dal no al rincaro dei carburanti e dell’energia fino al referendum d’iniziativa popolare, la riduzione del numero dei parlamentari, un taglio ai privilegi e più trasparenza. «Ogni forma di violenza non farà che causare una perdita di credibilità per il movimento agli occhi dell’opinione pubblica», si legge nel comunicato.

Un movimento destinato a sfaldarsi?

Sono state 84 mila in tutto il Paese le persone che hanno manifestato sabato 12 gennaio. Un numero più alto della settimana precedente, ma di molto inferiore a quello di novembre e dicembre. «Ogni sabato è una scommessa», a dirlo è Massimo Nava editorialista del Corriere della Sera che da 18 anni vive a Parigi. E’ una scommessa non solo a causa delle violenze di una minoranza del movimento, ma anche per il numero di adesioni. Solo due mesi fa si contavano oltre 300 mila manifestanti, mentre nelle ultime settimane la partecipazione è andata via via scemando. Nonostante i facinorosi e l’assenza di un leader, in migliaia –  soprattutto ragazze madri e lavoratori – che vivono nelle piccole città, nelle aree rurali e nelle periferie, continuano a indossare i gilet gialli e  scendono in piazza per esprimere il loro malcontento  e rendersi “visibili” agli occhi delle istituzioni.

Come nasce il movimento dei gilet gialli

Senza dubbio a svolgere un ruolo chiave sono stati i social network. E’ bastato il video postato da una donna, Jacline Moraoud per far scattare la molla che ha dato vita al movimento, spingendo migliaia di persone in strada. Nati per caso, i gilet gialli sono riusciti a riunire una parte di francesi che non può permettersi di vivere nelle grandi città e che per lavorare deve spostarsi ogni giorno. E che nel rincaro dei carburanti, giustificato dal Governo per accompagnare il Paese nella transizione verso la green economy, vede un’ingiustizia che colpisce i loro redditi e li costringe a cambiare stile di vita.

 

Il costo dei carburanti in Francia e nella UE

Nonostante le proteste dei gilet gialli siano iniziate per il rincaro dei carburanti, i dati della Commissione europea svelano una costante riduzione del prezzo dei combustibili negli ultimi due anni in tutta l’eurozona, con un picco minimo alla fine di novembre, a rivelarlo è il The Guardian. In Europa è l’Olanda ad aggiudicarsi il primato con una delle tassazioni sui carburanti e l’energia più elevate. Segue la Francia, in linea con gli altri Paesi europei, la Germania, l’Italia e la Gran Bretagna.

I gilet gialli, il Quarto Stato del XXI secolo?

Secondo Massimo Nava, il movimento dei gilet gialli non è «una fiammata improvvisa. Le origini sono più lontane e si possono rintracciare nella crisi dei due principali partiti di massa». Crisi palpabile già durante le elezioni tra Chirac e Sarkozy. Per il giornalista è in quel momento che l’elettorato ha iniziato a esprimere rabbia e malcontento, punendo i partiti tradizionali a favore dell’estrema destra del Front National di Le Pen. Un primo sintomo che avrebbe dovuto mettere in guardia il Paese e che ha poi permesso a Emmanuel Macron, anche se solo al secondo turno, di vincere le ultime elezioni con il suo movimento “Republique en Marche”. Le violenze e gli atti vandalici contro i palazzi del potere e i simboli dell’economia globalizzata aggiungono un tassello in più che per Nava non «rende questa mobilitazione però inquadrabile né nella estrema destra, né nell’estrema sinistra». Non è chiaro ancora chi guidi davvero il movimento ma, come sottolinea il giornalista, «c’è sicuramente una regia che riesce a catalizzare la mobilitazione». C’è poi un altro dato non marginale. «Alle proteste – dice Nava – non partecipa mai la fetta di popolazione più povera, né gli immigrati che vivono e lavorano stabilmente nel Paese». Fallito ogni tentativo di Macron di rassicurare i manifestanti, dai quali però ha ribadito non si farà intimorire, di fatto il presidente è deciso a non cambiare rotta.

Ne è convinto l’economista Francesco Saraceno, critico rispetto ai provvedimenti fiscali voluti da Macron a favore delle classi più ricche e delle grandi società. «Una visione del mondo anacronistica, basata sulla convinzione che i sistemi economici si reggano sulle disuguaglianze e che è contraria a quella della maggioranza degli economisti», aggiunge. «Tutti concordano nel dire che le differenze sociali siano uno degli effetti del neoliberismo e del sistema globalizzato – continua l’economista – disuguaglianze che si sono acuite nei Paesi occidentali, dall’Europa agli Stati Uniti, dalla fine degli anni Settanta e che richiedono risposte che però la politica non ha ancora trovato». «Ciò ha provocato uno scollamento tra la classe media e l’establishment». E l’avanzata dei populismi e dei sovranismi ne rappresentano uno dei sintomi. In discussione c’è l’Unione europea dei tecnocrati, le Banche, i vecchi partiti di centro, di destra e di sinistra, mentre c’è una consistente fetta di popolazione, in Francia e non solo, che non si sente rappresentata e che «soffre» la distanza dello Stato. Per Saraceno la ricetta giusta sarebbe quella di rivedere il ruolo dei corpi intermedi, sindacati e partiti, gli stessi contro i quali la gran parte del movimento è sceso in piazza. Oltre le violenze, a farla da padrone sono «la rabbia e la sofferenza», che secondo Roberto Biorcio, professore all’Università Bicocca di Milano, nascondono il bisogno dei cittadini di ottenere nuovi canali partecipativi. «Il Re è nudo e Macron che per primo ha interpretato la rabbia nei confronti dei partiti – insiste Eric Jozsef, corrispondente in Italia per Libération – alla fine non è riuscito a rompere con la vecchia politica».

Chi sono allora i gilet gialli? La voce forse di coloro a cui non resta che la piazza.

 

 

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