Geopod Ep.8 – La sicurezza alimentare

Da una parte la crisi alimentare, che colpisce soprattutto i Paesi in via di sviluppo, dall’altra lo spreco di cibo nei Paesi più ricchi. Quali sono le cause di questi due fenomeni e quali le conseguenze o le possibili soluzioni in campo?

La questione della sicurezza alimentare si intreccia ad altre problematiche ugualmente urgenti: il cambiamento climatico, i prezzi al carrello della spesa e in generale un modello di distribuzione che vede una differenza abissale tra i Paesi più ricchi, che sprecano il cibo, e quelli poveri che non ne hanno a sufficienza.

Uno studio dell’Ismea (Istituto dei servizi per il mercato agricolo e alimentare) mostra che l’aumento dei prezzi era iniziato già prima della guerra. La causa principale sarebbe il cambiamento climatico che porta a cali di produzione, ad aumenti dei costi energetici e a fenomeni speculativi nella borsa. In Italia, per esempio, per via del caldo anticipato e della prolungata assenza di piogge, si stima che la produzione di grano potrebbe scendere quest’anno dal 10 al 30%, a seconda delle zone.

I prezzi alimentari, inoltre, erano già cresciuti a causa dell’interruzione di molte linee di approvvigionamento e dei ritardi nella distribuzione, accumulati durante la pandemia.

Il continente più a rischio è quello africano, che se affamato, potrebbe scivolare in una spirale di conflitti, colpi di Stato e migrazioni di massa. La conseguenza diretta più immediata dell’aumento della fame è la maggiore pressione sui governi già instabili. In Burkina Faso, per esempio, i fornai hanno provato ad abbassare le saracinesche, per protestare contro l’aumento dei costi di produzione e il tetto al prezzo del pane, fissato dal governo a 23 centesimi di euro ogni 200 grammi.

In Italia, nonostante non si corrano gli stessi rischi dei Paesi africani, l’aumento dei prezzi ha delle conseguenze evidenti sui consumi degli italiani. A maggio il carrello della spesa è stato più caro del 6,7%. Si tratta dell’aumento più forte dal 1986. Un’inchiesta di Altroconsumo ha confermato che le abitudini alimentari sono cambiate per il 63% degli italiani. Il 33% degli intervistati dichiara di acquistare maggiormente prodotti col prezzo più basso nello scaffale, a marchio del supermercato e in generale quelli super-scontati. Inoltre, il 29% ha tagliato la spesa in cibo e bevande non essenziali, come alcol, dolci e snack salati. Un italiano su cinque rinuncia, poi, all’acquisto di alimenti dall’alto apporto nutritivo, come il pesce e la carne. Infine, prima la pandemia e ora la guerra hanno spinto gli italiani ad acquistare più prodotti a lunga conservazione, come cibi in scatola e farina.

Al momento, però, la vera emergenza in Europa è legata alle forniture di foraggi per gli animali. L’Unione europea ha deciso di rispondere alla crisi del mangime deregolarizzando la produzione sul proprio territorio, al fine di supplire all’eventuale diminuzione delle importazioni. Gli Stati membri possono, ora, consentire la produzione di qualsiasi coltura per l’alimentazione e usufruire dei terreni incolti, anche nelle aree destinate alla tutela della biodiversità. Il piano, quindi, costituisce una deroga ai principi fondamentali della Politica agricola comune, che per il 2030 aveva previsto di destinare il 25% della superficie europea al biologico. Sarà possibile aggirare anche il divieto dell’uso di alcuni pesticidi e coltivare terreni che dovrebbero essere lasciati a riposo o dedicati ai pascoli.

Dallo scoppio della guerra in Ucraina si sente sempre più spesso parlare della necessità di raggiungere l’autosufficienza produttiva. Secondo il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, per rispondere al problema attuale di autosufficienza alimentare, avremmo bisogno di oltre 3 milioni di ettari in più da coltivare soltanto in Italia.

Dall’altra parte, però, la Fao, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, mette in guardia sugli sprechi. Durante la catena di produzione alimentare ben il 30% dei prodotti destinati alle nostre tavole viene sprecato. A questo va aggiunto lo spreco dei consumatori.

I dati del report 2022 dell’Osservatorio Waste Watcher registrano in Italia un aumento del 15% degli sprechi. Ogni anno buttiamo oltre 30 chili di cibo a testa: uno spreco che è leggermente salito rispetto ai dati del report 2021 e che vede in testa ai cibi gettati la frutta fresca e persino il pane.

In conclusione, c’è da dire che la Commissione per le Risorse naturali del Comitato europeo delle Regioni, riunitasi qualche giorno fa in Spagna, ha dichiarato che: filiere più corte e produzione sostenibile potrebbero essere fondamentali per garantire la sicurezza alimentare dell’Europa.

Abbiamo visto, quindi, come in realtà il concetto di sicurezza alimentare assume declinazioni diverse a seconda dei luoghi: mentre in Europa l’aumento dei prezzi alimentari non riduce comunque la percentuale di cibo sprecato, nei Paesi più poveri il cibo insufficiente sta alimentando una crisi più generalizzata.

 

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Elisa Campisi

SONO GIORNALISTA PRATICANTE PER MASTERX. MI INTERESSO DI POLITICA, ESTERI, AMBIENTE E QUESTIONI DI GENERE. SONO LAUREATA AL DAMS (DISCIPLINE DELL’ARTE DELLA MUSICA E DELLO SPETTACOLO), TELEVISIONE E NUOVI MEDIA. HO STUDIATO DRAMMATURGIA E SCENEGGIATURA, CONSEGUENDO IL DIPLOMA TRIENNALE ALLA CIVICA SCUOLA DI TEATRO PAOLO GRASSI.

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