La propensione al consumo cresce al diminuire del reddito. Vuol dire che le famiglie meno abbienti hanno una propensione al consumo maggiore di quella delle famiglie con redditi più alti. Strano? In realtà è solo contro intuitivo. Siamo abituati a sentire frasi come: “Si è ridotta la propensione al risparmio”, “Ancora giù il potere d’acquisto delle famiglie” o “L’inflazione colpisce in modo diverso le persone ricche e le persone povere”. Ma di cosa si tratta realmente e quali sono le condizioni della macroeconomia mondiale che determinano questi cambiamenti nella microeconomia familiare.
I poveri hanno una propensione al consumo più alta di quella delle persone ricche e riescono a risparmiare meno. Secondo l’Istat, poi, in questa fase economica le famiglie con redditi più bassi subiscono un’inflazione più alta rispetto alle restanti famiglie italiane. Per capire meglio cosa vuol dire ho invitato Sandro Castaldo, Professore di marketing al Dipartimento di Marketing dell’Università Bocconi. Buongiorno.
Sandro Castaldo: Buongiorno
La propensione al consumo è davvero più alta se il reddito è più basso? Ci può spiegare meglio questo fenomeno?
Sandro Castaldo: È vero, in quanto da un punto di vista percentuale i consumi, in particolare i consumi di beni di prima necessità, impattano in termini percentuali molto di più sulle disponibilità economiche delle classi sociali meno abbienti rispetto a quanto impattino sulle persone con reddito più alto. É chiaro che quindi l’inflazione soprattutto su quei beni di prima necessità ha un impatto molto più significativo in termini relativi sulle classi sociali meno abbienti. Praticamente, se pensiamo alla spesa fatta al supermercato, parliamo di 150 euro a settimana e quindi di 600 euro al mese. Aggiungiamo la bolletta di una stessa famiglia, per elettricità, gas, eccetera intorno a un valore di 100 euro al mese. Valutiamo poi i costi per gli spostamenti tra benzina, carburante, abbonamenti e tram di tutta la famiglia: ci sarà un valore di altri 200 euro al mese. Ecco, se facciamo la somma di queste componenti che sono essenziali per poter vivere parliamo di quasi 1.900 euro al mese per i consumi di energia, trasporto e alimentari o comunque beni di prima necessità. Ecco, 900 euro sul budget di una famiglia con un reddito medio basso, che sia un reddito di 1.500 euro complessivo di tutta la famiglia al mese o anche meno, impatta in modo significativo perché rappresenta il 70% del reddito complessivo. Nel caso facessimo la stessa valutazione su persone di una famiglia con un reddito più alto, quindi anziché con 1.500 euro di reddito complessivo al mese con un reddito di 3.000 o di 4.000 euro al mese, la percentuale dei consumi sarebbe notevolmente inferiore anche immaginando che le spese per l’auto, l’elettricità e i prodotti al Supermarket siano superiori. Non saranno sicuramente 900 euro, saranno semmai 1.100, 1.200, 1.300 euro, ma in termini relativi, sui 3.000 o sui 4.000 euro di reddito mensile, impattano naturalmente meno in percentuale.
È chiaro che l’inflazione crea un grosso problema soprattutto per le famiglie che hanno redditi più bassi perché quei 900 euro con un 10% di inflazione e in certi casi anche maggiore diventano 990, quindi aumentano in modo significativo. Mentre se pensiamo all’aumento dovuto all’inflazione sulle famiglie più abbienti, quelle che hanno un reddito elevato, anche se l’inflazione c’è e quindi impatta, in termini relativi crea sicuramente una riduzione del reddito, ma non crea quell’elemento di incredibile difficoltà che crea per le fasce meno abbienti.
Chiaramente i clienti hanno un limite di budget, soprattutto le famiglie di reddito medio basso e basso, e non possono andare oltre certi valori. Quindi quello che stanno cercando di fare è mantenere in termini quantitativi, nei limiti del possibile, i consumi come il passato, ma semmai optare per i prodotti più economici. In Italia, per esempio, sui prodotti di largo consumo stiamo vedendo una crescita molto significativa del canale discount, che offre un livello di qualità elevato con prezzi sicuramente più contenuti o comunque prodotti più accessibili dal punto di vista del prezzo.
L’inflazione a gennaio segna un netto rallentamento. Il cosiddetto carrello della spesa scende a +12% dal +12,6% del mese precedente. Al contrario si accentua la dinamica dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto (da +8,5% a +8,9%). Come possiamo interpretare questi ultimi dati pubblicati dall’Istat? Sono incoraggianti?
Sandro Castaldo: Sì, sicuramente è un buon segnale perché si vede un cambiamento di tendenza. Attenzione, c’è ancora un aumento, non un decremento, semplicemente un aumento meno rapido e quindi un tasso di crescita che si riduce. Chiaramente è un primo segnale per sperare che poi l’inflazione, in tempi abbastanza brevi, ritorni ai livelli del 2022, quindi a livelli del 2-3% all’anno. Questo è il livello che avevamo avuto negli scorsi decenni, anche perché era una cosa che veniva in qualche modo indicata come livello di inflazione ottimale da parte dell’Europa e dalla Banca Centrale Europea. Veniva chiesto di tenere un’inflazione controllata a pochi punti percentuali per avere poi una moneta e una gestione dell’economia coerente e orchestrata tra tutti i Paesi che partecipano all’Unione Europea. Quindi il segnale sicuramente è positivo, però dobbiamo sempre pensare che sono numeri alti. Io ho fatto prima l’esempio col 10%. Lei, non a caso, ha preso il 12% dell’inflazione e l’8,9% per quanto riguarda il largo consumo, che sono comunque prezzi in aumento in modo significativo su base annua. Prima però di vedere degli effetti benefici dobbiamo aspettare perché c’è un effetto inerzia inevitabile in quanto noi l’anno scorso, abbiamo comprato molta parte del gas e dell’energia che stiamo utilizzando adesso e oggi comunque con quell’energia stiamo producendo dei beni che verranno messi sul mercato domani. Quindi questi beni avranno dentro una parte degli aumenti che sono relativi ai mesi scorsi e questo è inevitabile.
Sempre a gennaio l’inflazione più marcata si è registrata nelle isole. Come mai il fenomeno si diversifica non solo tra Stati ma addirittura tra regioni dello stesso Paese?
Sandro Castaldo: Questo in parte è dovuto anche al fatto che in tutto questo i trasporti giocano un ruolo molto importante. A un certo punto i costi, per esempio nei trasporti della Cina, sono aumentati in modo incredibile. Prima della crisi i noli dalla Cina (il nolo è il prezzo del trasporto di merce per mare o via aerea ndr) costavano per un container qualche migliaio di euro, 2.000 o 3.000. Addirittura, a un certo punto, questi costi di trasporto per un container sono arrivati a oltre 10.000 euro, quindi sono
quintuplicati e anche più. È chiaro che nel caso delle isole il costo di trasporto incide molto di più: portare una prodotto su un’isola è molto più costoso rispetto ad avere il prodotto in una zona vicino all’impianto di produzione del prodotto stesso.
Tra i temi di cui si è occupato maggiormente ci sono la fiducia e la comprensione del comportamento dell’acquirente. Le vorrei chiedere, appunto, come influisce questo quadro economico sulla fiducia dei consumatori?
Sandro Castaldo: All’inizio la fiducia aveva resistito abbastanza bene perché fino alla scorsa estate avevamo avuto un indice di fiducia abbastanza positivo, quindi c’era stata sicuramente già un po’ di inflazione, però si sperava che la situazione si risolvesse in poco tempo. Oggi invece, e già dall’autunno, abbiamo tassi di fiducia che sono calati molto perché chiaramente i consumatori hanno fatto un po’ i conti con i vincoli di bilancio a cui facevamo riferimento prima. E quindi questo ha determinato chiaramente anche una maggiore prudenza negli acquisti, perché avere meno fiducia rispetto al futuro inevitabilmente ha poi un impatto sui consumi futuri. Abbiamo molti settori che oggi faticano proprio perché si ha un problema di fiducia. È chiaro che se io vedo il futuro con sfiducia e quindi penso che ci possano essere difficoltà, che possa avere problemi, e devo comprare un bene durevole, come un’automobile, l’arredamento o un prodotto costoso su cui è necessario investire parecchio, è molto più probabile che sceglierò di rinviare o evitare l’acquisto.
Quali sono le misure già messe in campo o che potrebbero essere introdotte in futuro dagli enti regolatori per aumentare sensibilmente il potere d’acquisto delle famiglie?
Sandro Castaldo: Un esempio pratico è quello dell’energia. È chiaro che se riesci ad abbassare il costo delle bollette, questo libera risorse che oggi purtroppo sono utilizzate per pagare delle bollette che sono lievitate in modo significativo.
Cos’è il cosiddetto effetto farfalla e cosa in questo caso ha influito maggiormente sull’aumento dei prezzi?
Sandro Castaldo: Basta oggi che ci sia un piccolo cambiamento o anche un cambiamento grande in un mercato, perché questo abbia poi inevitabilmente delle ripercussioni su tutti gli altri mercati e su tutti gli altri Paesi. L’energia è un esempio. Abbiamo avuto una crescita significativa dei prezzi del gas, in parte dovuta ai noti fenomeni che conosciamo molto bene. Devo dire, però, che già questi prezzi erano aumentati prima dello scoppio della guerra di un anno fa. Chiaramente, poi, con l’avvio del conflitto i prezzi sono schizzati a valori incredibili per i motivi che conosciamo.
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