L’Unione Europea va verso un potenziamento della Difesa comune? Alcune recenti dichiarazioni sembrano suggerirlo. A pesare su Bruxelles ci sono due guerre in corso (una ai confini, in Ucraina; una con forti ricadute economiche, in Medio Oriente e Mar Rosso), l’incertezza sull’esito delle prossime elezioni presidenziali americane (con Trump pronto a sabotare la NATO) e una crescente attenzione sul tema della sicurezza continentale. Quali azioni concrete verranno messe in atto? È presto per dirlo, ma si possono ipotizzare diverse iniziative.
Uno scudo nucleare comune
Il 15 febbraio si è fatta strada l’idea di una “opzione nucleare” per l’Unione. Al momento lo strumento di deterrenza atomica europea è fornito dagli Stati Uniti che, tramite la NATO, schierano sul continente molte testate. Ma lo spettro delle parole di Donald Trump durante un comizio in South Carolina lo scorso 11 febbraio («Incoraggerei la Russia ad attaccare i Paesi NATO che non pagano», in riferimento all’impegno degli Stati membri di raggiungere il 2% di PIL di spese in Difesa) ha riacceso i dubbi sull’affidabilità degli americani. Lontani, sempre più instabili sul fronte interno, la loro garanzia di sicurezza non è più data per scontata.
Di qui l’idea di chiedere a Parigi di schierare il proprio arsenale nucleare in difesa dell’Unione. Un’ipotesi su cui il presidente Emmanuel Macron ha parlato lo scorso 31 gennaio, in visita in Svezia. La dottrina francese dice che l’arma atomica serve solo per «difendere gli interessi vitali della Francia» e, pur sovrana e indipendente, contribuisce in maniera «forte e essenziale alla sicurezza dell’Europa». Dunque una possibilità di espandere l’ombrello nucleare potrebbe esserci. Ma non basterebbero le 290 testate, solo strategiche (quindi per attacchi su larga scala), a dissuadere il nemico ipotetico (la Russia) a non usare i suoi quasi 6mila ordigni.
Coinvolgere l’ex-membro UE, il Regno Unito, che ha tutto l’interesse nel rafforzare la sicurezza regionale? È un’opzione non così remota, ma comunque insufficiente (225 testate strategiche) a costituire una seria deterrenza. Che fare quindi? A spingere per uno scudo comune europeo è soprattutto una preoccupata Germania, che dopo decenni di sostanziale disarmo sta correndo ai ripari investendo molto denaro nel settore Difesa. Per Berlino è possibile mettere una “pezza” momentanea, convincendo Parigi a garantire una seconda linea di deterrenza (da affiancare a quella NATO). Ma, si coglie nelle parole dei tedeschi, la prospettiva a lungo termine è avere uno scudo proprio. Europeo. Magari derivato da quello francese, ma realmente comunitario.
Investimenti massicci
Anche se l’ipotesi nucleare appare lontana e difficilmente realizzabile, ben più pressante è la necessità di una vera Difesa comune. Se ne parla da decenni ma, nei fatti, non si è concluso quasi nulla. Gli ultimi due anni hanno segnato una repentina accelerazione. L’UE è il maggiore contributore alla sicurezza Ucraina, da quando è iniziata la guerra. I depositi, tanto di veicoli quanto di munizioni, sono stati svuotati per fornire a Kiev i mezzi per difendersi. Il reintegro dei materiali perduti è ora una priorità comune, ma i costi sono enormi. Da soli, gli Stati non possono farcela.
L’UE ha adottato, finora, un grande piano comune di acquisto munizioni. In parte per sé, per riempire depositi ormai vuoti, in parte per continuare a affiancare l’Ucraina. Lo scorso 19 gennaio il commissario europeo per il mercato interno, Thierry Breton, ha parlato del piano comunitario per produrre, nel 2024, oltre un milione e 300 mila proiettili di vario genere. Un primo passo, ma insufficiente. «Per essere tranquilli tre, quattro anni va bene – ha detto Armin Papperger, amministratore delegato della tedesca Rheinmetall, una delle principali industrie militari al mondo – ma per essere pronti a difenderci davvero ne occorrono almeno dieci».
Ma se l’Europa si muovesse insieme? La domanda non è più ipotetica, ma necessaria. Ne ha parlato anche Mario Draghi, intervenendo a Washington il 15 febbraio: « C’è un forte bisogno di coordinare le nostre spese sulla Difesa. E tutto questo è possibile solo con una visione comune». L’ex premier italiano ha poi aggiunto che l’Europa deve «darsi una smossa». La strada migliore sarebbe l’emissione di «debito comune per finanziare gli investimenti». Tesi ripresa dalla presidente della Commissione, Ursula Von Der Leyen, a margine di un incontro con la NATO a Monaco di Baviera: a marzo «presenteremo una strategia per l’industria europea della Difesa».
Di cosa ha bisogno la Difesa europea?
Come spendere gli eventuali fondi? Le strade sono due: rafforzamento militare dei singoli Stati, che poi si integreranno dove e quando necessario; realizzazione di una forza comune europea, con dotazioni e obiettivi convergenti. Anche se la seconda opzione sarebbe quella ottimale, garantendo una reale unità d’intenti e di equipaggiamento, risulta al momento inapplicabile. L’Unione Europea non è uno Stato, ma una comunità di Stati. Questo significa che, nonostante l’unità politica, economica e (almeno in teoria) d’intenti di tutti i 27 Paesi membri, questi ultimi restano indipendenti e sovrani. E dunque con autonome visioni, necessità e obiettivi.
La scelta più sensata è dunque rafforzare i dispositivi militari nazionali, cercando al contempo di integrare il più possibile dotazioni e capacità. Per fortuna 22 dei 27 membri UE sono anche parte della NATO, dunque hanno già una spiccata interoperabilità: munizioni dello stesso calibro e intercambiabili, mezzi simili o identici, gerarchie strutturate sulla medesima scala. Certo, l’integrazione dovrebbe essere maggiore, ma ogni Paese ha una propria linea strategica. In alcuni casi l’Europa è a buon punto (ad esempio sulla componente corazzata delle forze di terra, con 13 nazioni che impiegano il carro tedesco Leopard 2, o sulle artiglierie navali, dove i cannoni dell’italiana Oto-Melara equipaggiano 13 marine su 20), mentre altri sono gravemente deficitari o dipendenti da attori esterni (molto diffusi i caccia F-16, che però sono americani, così come è molto varia la componente veicoli per la fanteria).
Non va dimenticato, poi, che armi, mezzi e uomini compatibili non servono a nulla, se non impiegati in maniera coerente. Occorre quindi una maggiore unità d’intenti e di iniziativa comune. L’UE è già promotrice di molte missioni in giro per il mondo, ma in ambito strettamente militare non si è quasi mai proposta come attore fondamentale e irrinunciabile. Esclusa l’operazione “Atalanta” nel Golfo di Aden, il nascente impegno nel Mar Rosso con “Aspides” è la prima discesa in campo autonoma di Bruxelles. Se si vuole contare davvero, quindi, non basterà investire di più. Servono anche e soprattutto la volontà e il coraggio di intervenire nel mondo. Non come piccoli aiutanti di altri, ma come veri protagonisti.