È uno dei casi più interessanti di giornalismo nato con l’approdo al digitale. BuzzFeed in quasi 15 anni si è trasformato in un network multi-piattaforma che comprende diversi outlet: da BuzzFeed Originals, l’organo originario, a BuzzFeed News, dedito al giornalismo d’inchiesta e investigativo, ma anche BuzzFeed Studios, che produce contenuti originali tra film e piattaforme digitali. BuzzFeed News è la branca del sito online che ha pubblicato l’inchiesta sui presunti fondi russi alla Lega di Matteo Salvini. Ma come si è evoluto nel corso degli anni?
Gli esordi
Era il 2006 e i Big Tech non erano neppure lontanamente simili ai giganti che sono oggi. Jonah Peretti, co-fondatore di The Huffington Post e uno dei primi a intuire le potenzialità del web, lanciava BuzzFeed come un laboratorio sperimentale che si concentrava sulla creazione e monitoraggio dei contenuti virali. Il nome indicava proprio questo: il feed di quello che fa rumore. Il sito intercettava quello che in rete “funzionava” e lo rilanciava sulla propria home. I primi tempi questo veniva fatto tramite un algoritmo, poi, complice il successo portato dai gattini, bambini, cuccioli e meme divertenti, assumendo centinaia di persone.
Giornalisti certo, ma anche programmatori, pubblicitari, videomaker e persone in grado di scovare i media divertenti, per poi rilanciarli sui social. Mixare cose serie a quelle più leggere: questa l’idea di fondo. Prima delle grandi inchieste e dei reportage investigativi era arrivata l’intuizione del native advertising.
Che cos’è il native advertising?
BuzzFeed aveva creato il mix perfetto di intrattenimento e pubblicità. I contenuti venivano venduti, ed erano pensati per divertire e incuriosire quella parte emotiva e frivola che c’è in ogni lettore. Il quiz per riconoscere le nuggets di pollo di McDonald’s e quelle di Burger King, le foto delle merendine di anni prima. Tutti contenuti che miravano anche a creare engagement con il pubblico. Tutti rilanciati sui social, che portavano alla pagina il 70% del traffico online.
Lo sbarco fuori dagli Usa e l’approdo alla serietà
Un format che ha suscitato un interesse tale (e un successo esponenziale) che BuzzFeed ha deciso di esportare il proprio lavoro fuori dagli Stati Uniti, aprendo versioni in Australia, Brasile, India, Giappone, Messico, Regno Unito, Francia, Spagna, Germania. Un’espansione da 1.700 dipendenti e più di 18 redazioni sparse per il mondo.
Nel 2012 Peretti sbarcava nel giornalismo serio, con l’assunzione di Ben Smith, talentuoso giornalista di Politico, in qualità di direttore e di Mark Schoofs come capo della divisione; un giornalista del Wall Street Journal e di ProPublica che aveva già vinto un Pulitzer. Talento, mezzi e personale: così BuzzFeed News nel 2017 si è aggiudicata la prima nomination come finalista al Pulitzer, facendo il paio con l’anno successivo.
Le ombre
Il successo di BuzzFeed ha subito un arresto quando Facebook e Google hanno iniziato a dominare il mercato della pubblicità sul web: l’attrattività della testata online è stata così ridimensionata, complice anche la modifica all’algoritmo voluta da Zuckerberg, che ha ridotto i clic al sito in poco tempo. Così l’inventore di BuzzFeed ha dovuto accettare i banner e la pubblicità programmatica, nonostante l’avesse sempre rifiutata convinto di potersi sostentare con i proventi del native advertising.
L’anno dei record, poi la caduta e il taglio dei costi
Nel 2016 ha registrato un giro di fundraising da 500 milioni, 1,7 miliardi di valutazione e ricavi per 250 milioni di dollari. Tra gli investitori figuravano anche ComCast Corp ed Hearst Ventures. L’anno successivo l’asticella del fatturato era stata alzata a 350 milioni, ma non è stata raggiunta. Un traguardo mancato, che aveva portato al taglio di cento posti di lavoro nella sezione Business. Nel 2018 è stata sfiorata per un soffio quota 300 milioni. Peretti si è trovato costretto a tagliare i costi pur di non chiedere ulteriori soldi agli investitori. Nel 2019 c’è stato il licenziamento di 250 posti, e la promessa di riorganizzare l’attività, investendo in aree redditizie come l’ecommerce e i contenuti offerti su licenza. Secondo alcune indiscrezioni questo taglio potrebbe essere preparatorio a una fusione o cessione dell’azienda.