Coronavirus, prove di lockdown nel mondo (II parte)

Dopo aver parlato delle diverse restrizioni adottate in Europa, Asia e America del Nord e delle relative Fasi 2, è arrivato il momento di analizzare la situazione di Africa, Sud e Centro America e Oceania.

Africa

Con molta probabilità sarà l’Africa, il continente che uscirà più devastato – sia in termini di vittime che dal punto di vista economico – dall’epidemia. Qui, in molti Paesi, le persone vivono soprattutto in baraccopoli, con poca acqua potabile e scarsa igiene. È quindi molto difficile – se non impossibile – attuare il distanziamento sociale. Per non parlare dei controlli. Secondo il New York Times, a causa del basso numero di personale tra le forze di polizia, spesso vengono adottati dei metodi brutali per ‘contenere’ gli spostamenti. In Kenya, la polizia picchia chi viola le restrizioni e ha ucciso un ragazzo di 13 anni perché era sul balcone di casa. In Nigeria, secondo alcuni gruppi di difesa dei diritti umani, sono state uccise diverse persone dai militari. Economicamente parlando, la situazione è ancora più difficile.

In Malawi, dove al momento si contano 17 casi e 2 morti, le restrizioni agli spostamenti sarebbero dovute iniziare il 18 aprile. Un tribunale però ne ha rimandato l’entrata in vigore su richiesta di un gruppo di difesa dei diritti umani. Il presidente Peter Mutharika non ha previsto nessun aiuto per le fasce più deboli. E nel Paese, uno dei più poveri al mondo, incentivare una persona a non svolgere la sua attività lavorativa potrebbe significare impedirle di mangiare per un giorno. L’economia del Malawi infatti si basa soprattutto sul commercio informale (e cioè a nero) dei prodotti agricoli. E nei giorni scorsi diversi lavoratori hanno protestato al grido di: «preferiamo morire di coronavirus che di fame». Secondo le organizzazioni in difesa dei diritti umani, il governo dovrebbe prevedere di distribuire denaro contante a gran parte della popolazione.

E dal punto di vista sanitario, le condizioni africane sono disastrose. In Nigeria, per 200 milioni di abitanti, ci sono solo 500 ventilatori polmonari. Nella Repubblica Centroafricana se ne contano meno di una decina e in Liberia, probabilmente non ce ne sono. E, secondo Il Post, a nulla servirebbe l’invio delle apparecchiature da parte dei Paesi più ricchi considerato che mancano medici e strutture idonee. Secondo alcuni economisti ed esperti, la cosa migliore sarebbe – oltre l’invio di operatori sanitari come successo in Italia – l’aumento di finanziamenti e fondi che consentano l’acquisto di risorse sanitarie e alimentari. Per ora, l’unica iniziativa, è stata quella presa dai Paesi del G20 che ha consentito la sospensione del pagamento del debito da parte degli Stati più poveri.

Diverso è il caso dell’Egitto. Oltre a chiudere scuole e università, il Paese ha ovviamente dovuto limitare il traffico aereo. Nonostante la possibilità data ai turisti di terminare lì le loro vacanze, è stato vietato l’arrivo a nuovi gruppi. Per l’economia egiziana, i limiti al turismo sono un duro colpo considerato che la prima dipende ampiamente dal secondo. Tra le altre misure adottate ci sono: la sanificazione di edifici e strutture turistiche, il divieto per eventi e manifestazioni sportive, la chiusura dei teatri e le palestre e l’interruzione delle visite in carcere.

Una delle prime misure adottate dall’Algeria è stata la sospensione del trasporto ferroviario sia pubblico sia privato. A questa ne sono state aggiunte molte altre, tra cui la chiusura di bar e ristoranti. Ai dipendenti pubblici è stato chiesto di rimanere a casa in congedo retribuito e sono state approvate delle misure per regolare i mercati, assicurare il rifornimento di prodotti alimentari ed evitare speculazioni.

Centro e Sud America

Il problema maggiore dei Paesi del Centro e del Sud America è il rimpatrio degli immigrati, soprattutto dagli Stati Uniti. Parte dei territori, infatti, non contano un numero eccessivo di contagi, ma – secondo alcuni analisti – questi potrebbero esplodere a causa delle scelte politiche del presidente Donald Trump. Nelle ultime settimane, il tycoon ha richiesto il rientro nei loro Paesi di diverse persone che, visto il numero di contagi avuti nel Nord America, potrebbero causare un aumento dei casi.

Balzata agli onori di cronaca per aver inviato medici nel nostro Paese, Cuba sembrerebbe essere tra gli Stati che ha subito meno l’epidemia. I primi casi erano stati rilevati a metà marzo e già dal 21 dello stesso mese erano state imposte delle restrizioni, tra cui impedire l’entrata dei turisti nel territorio. Con l’aumento dei casi, il governo ha deciso di creare delle strutture in grado di ospitare i contagi sospetti. Quelli confermati invece sono stati subito ricoverati e i loro contatti tracciati e isolati. Ai lati positivi si aggiungono però quelli negativi. Nonostante vanti un grandissimo numero di medici, tanto da utilizzarli come merce di scambio con altri Paesi (il governo infatti trattiene una enorme parte dello stipendio pagato dagli Stati in cui il personale sanitario cubano opera), Cuba possiede strutture sanitarie carenti. E per questo, ha chiesto aiuto alla Cina che ha prontamente inviato mascherine e kit sanitari per fronteggiare l’emergenza. Un altro problema è dato dal numero dei tamponi. Dall’inizio dell’epidemia, il governo ha aumentato di cinque volte i test. Il costo è elevatissimo. Questo, aggiunto all’assenza di turismo e alle sanzioni imposte dagli Stati Uniti, potrebbe aumentare la possibilità di una devastante crisi economica.

In Brasile, invece, il presidente Jair Bolsonaro continua a sminuire l’epidemia. Ha più volte ribadito la sua disapprovazione per le misure di distanziamento sociale adottate da alcuni governatori. Inoltre, la sua personale guerra all’epidemia ha portato anche al ‘licenziamento’ del ministro della Salute che, da diverse settimane, osteggiava le sue prese di posizione. Attaccato dall’opposizione e dai cittadini, Bolsonaro è convinto che il Parlamento stia complottando per rimuoverlo dal potere. Fortunatamente ad alleggerire le conseguenze dell’epidemia, sono i governatori che cercano di adottare il più possibile misure di contenimento. Secondo le ultime stime, i casi accertati sono meno di 35mila e i morti all’incirca 2mila. Purtroppo però i numeri non sono quelli reali considerato che vengono ancora effettuati pochi test.

In Perù e a Panama si potrà uscire dall’isolamento domestico, imposto alla popolazione per contenere l’epidemia di coronavirus, alternativamente in base al genere. Lunedì, mercoledì e venerdì potranno uscire di casa per fare la spesa soltanto gli uomini, mentre martedì, giovedì e sabato solo le donne. Domenica tutti a casa. L’uscita è consentita esclusivamente dalle ore 8 alle ore 18. Panama ha imposto questo tipo restrizione già dal 31 marzo ed è stata seguita dal Perù giovedì 2 aprile.

Il presidente di El Salvador, Nayib Bukele, ha annunciato una serie di misure basate sul modello italiano. Oltre alle scuole e alle università chiuse e al divieto di assembramenti con più di 500 persone, c’è quella di chiedere a chiunque arrivi dall’estero di trascorrere 30 giorni di quarantena. A differenza dell’Italia, però, le attività economiche e lavorative hanno continuano nel loro operato.

Oceania

In Nuova Zelanda fin da subito sono state adottate misure restrittive tanto che, il 2 aprile, sono stati registrati solo 98 casi positivi. Già il 19 marzo erano stati chiusi i confini per poi, il 23 marzo, chiudere scuole, bar, ristoranti, negozi, palestre, cinema e teatri. Inoltre, alla popolazione è stato concesso di muoversi liberamente con le biciclette, ma solo vicino alla propria abitazione. Il ministero della Salute ha poi implementato il tracciamento nei confronti delle persone venute in contatto con contagiati imponendo loro l’isolamento domiciliare.

In Australia, sono stati chiusi tutti i servizi non essenziali. Dai bar ai ristoranti, diverse attività sono state costrette ad abbassare le serrande. Aperti supermercati, distributori di benzina, farmacie e servizi di consegna a domicilio. Inoltre, in alcune città, per diverso tempo, sono rimaste aperte le scuole.

Ilaria Quattrone

Mi chiamo Ilaria Quattrone e sono nata a Melito Porto Salvo, in provincia di Reggio Calabria, il 6 agosto del 1992. Dopo la laurea in Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali all’Università di Messina, ho collaborato con il giornale online StrettoWeb dove mi sono occupata di cronaca e politica locale e grazie al quale ho ottenuto il tesserino come giornalista pubblicista. Mi sono laureata in Metodi e Linguaggi del Giornalismo dell'Università di Messina con il massimo dei voti e poi ho iniziato il master in giornalismo alla IULM. Da settembre a ottobre 2019 ho realizzato uno stage nella redazione dell'agenzia di stampa Adnkronos dove mi sono occupata di economia, politica e cronaca. Ho una passione per la cronaca giudiziaria e la politica, ma grazie al master ho iniziato a interessarmi al mondo del videogiornalismo e dei web reportage. Il mio sogno è di diventare giornalista d'inchiesta.

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