Coronavirus, la paura nei campi profughi in Grecia

Che fine hanno fatto i profughi in Grecia?

Intervista a Catharina Kahane, responsabile della Ong Echo100Plus  sull’isola greca di Leros

«Da quando il ministro greco ha deciso di sospendere per almeno un mese tutte le domande di asilo, nessuno sa quale sarà il loro destino.- ci racconta Catharina Kahane, responsabile della Ong Echo100Plus  sull’isola di Leros e aggiunge – Se scoppiasse il coronavirus qui, sarebbe un dramma».

La condizione sanitaria dei campi profughi sulle isole egee è precaria e «da anni chiediamo di fare qualcosa – dice la responsabile della Ong che aggiunge -Tutti stiamo dicendo di non venire qui perché la situazione è tragica. Lo facciamo non perché non abbiamo soldi per migliorarla ma perché l’Europa non ha intenzione di farlo».

Operatori della Ong Echo100Plus

Chi scappa dalla Siria o da altri paesi in guerra, cerca una chance per sopravvivere alla morte ma in Grecia trova davanti a sé un altro inferno. I migranti vengono accolti sulle isole che da anni fungono da autentici hotspot. Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, sono più di 41mila i richiedenti asilo provenienti da diverse parti del mondo che si trovano a Lesbo, Samos, Chios, Kos e Leros. Concentrati in campi che dovrebbero accogliere fino ad un massimo di 6.200 persone.

«Le condizioni sono orribili. I campi sono sovraffollati, le condizioni igieniche sono totalmente insoddisfacenti: una doccia, una toilette, una presa d’acqua per centinaia di persone. Non è solo un problema che si presenta in tempi di emergenza sanitaria, ma lo è da quasi 5 anni. Questa negligenza sistematica si vendicherà ora, perché il rischio per la loro salute, attualmente è anche il nostro», ci spiega Catharina.

«Ufficialmente non ci sono stati ancora casi di contagio da coronavirus ma è una questione di tempo e ancora non sappiamo se sull’isola c’è qualche contagiato perché qui non è possibile verificarlo. Il sistema sanitario greco è crollato dopo anni di crisi di bilancio. Il piccolo ospedale insulare locale non è assolutamente pronto per un’emergenza e non sono disponibili kit di prova sulle isole. Ciò non riguarderà solo i rifugiati, ma anche la popolazione locale. Solo due ospedali in Atene sono abilitati a testare la positività e per farlo, occorre raggiungere la terraferma», sottolinea.

Il coronavirus potrebbe fare una strage tra i rifugiati in Grecia perché «colpirebbe persone già fisicamente vulnerabili», sottolinea Catharina Kahane. La guerra, il lungo viaggio per scappare dalle bombe, il sovraffollamento nei campi, la mancanza di igiene e materiale sanitario, hanno aggravato la loro condizione di salute.

Inoltre, nei campi è impossibile tenere le distanze di sicurezza e prendere misure di protezione come le mascherine.

Tende di un campo profughi in Grecia
Perchè il presidente turco ha aperto i confini?

Prima che scoppiasse il coronavirus in Cina per poi diffondersi in tutto il mondo, l’attenzione era concentrata sulla guerra in Siria. Gli attacchi di Assad per liberare la città di Idlib dai ribelli hanno causato morti, feriti e disperati che per salvare sé stessi e le loro famiglie, hanno lasciato le loro case ormai distrutte in cerca di una via d’uscita. Quella che era nata come una guerra civile, continua però essere al centro degli interessi internazionali e a supportare le due fazioni c’è la Russia schierata con le forze del regime, dall’altro lato invece, la Turchia è in prima linea con i ribelli.

A pagare le conseguenze sono i civili che tentano di fuggire e raggiungere il nostro continente. Una delle porte principali è proprio la Turchia e l’Europa ha “chiesto” a Erdogan di tenere lontani dai confini europei le migliaia di persone in fuga dalla guerra. Per farlo ha finanziato 6 miliardi di euro ma il presidente turco vuole di più. Secondo gli analisti, intende mettere sotto pressione l’Europa e spingerla a sostenere la sua azione, o comunque a chiedere più soldi.

Dopo l’attacco delle forze di Assad e degli alleati russi a Idlib che hanno causato la morte di 33 soldati turchi, la situazione è drammaticamente precipitata e per dimostrare di avere il coltello dalla parte del manico, Erdogan ha aperto i suoi confini lasciando gli sfollati siriani in mano alle forze armate greche che hanno tentato di fermarli sparandogli addosso.

Le conseguenze del ricatto di Erdogan

«Migliaia di loro sono ora bloccati nella terra di nessuno tra il confine turco e greco. Non potendo spostarsi avanti o indietro, le poche centinaia di persone che sono riuscite a raggiungere la Grecia sono in stato di detenzione e prima o poi saranno rimandate indietro. Solo su Leros, ora ci sono più di 3.200 richiedenti asilo bloccati. Le loro domande di asilo sono sospese a tempo indeterminato », dice ancora la responsabile della Ong.

L’Ufficio Onu per il coordinamento umanitario (Ocha), ha dichiarato che nella regione nord-occidentale i civili rimasti senza una dimora sono circa 950mila. Ocha precisa che l’81 per cento dei profughi siriani a Idlib, è composta da donne e bambini.

«A questo punto, la nostra Ong non può fare molto per loro, perché l’accesso al campo è bloccato. L’unica cosa che possiamo fare è fornire ai profughi e allo staff che lavora all’interno gli articoli igienici di base, come sapone e maschere. Possiamo cercare di tenerli informati e dargli la sensazione che almeno qualcuno stia pensando a loro», conclude Catharina.

 

 

 

 

 

 

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